Nel primo caso si può intervenire rimproverando l’omonimo dell’attrice che ha più colpe: è di Fratelli d’Italia, fa parte del governo, è il marito di Arianna Meloni, sorella di Giorgia, e dunque ha tutte le stimmate perché l’opposizione, quella becera ma che fa fine, possa tirare lo sciacquone accompagnando il garbato gesto con il ghigno tipico dei giudici dei tribunali nazisti; infatti, mentre piddì e altri dell’opposizione si sono dissociati dalla vignetta, i guerriglieri di quella parte lì, fiancheggiatori del foglio, se la spassano, il suo Direttore ha concesso un primo commento sul ministro: “Ci ostiniamo a prendere sul serio questi clown così non si parlerà delle porcate che sta facendo questo governo”, quindi ha concluso in merito alle polemiche sulla pubblicazione della vignetta: ”Non posso perdere il mio tempo per spiegare le battute a chi non le capisce”.
Ecco, siamo nel campo della battuta, “azzeccatissima, questa è la satira”, come afferma Vauro, un professionista del (de)genere. Dare del clown a un ministro, anche responsabile di una frase e di un pensiero sghembo, rientra nella suddetta caricatura. Deridere la parente, proprio perché parente, della Meloni non è affatto ironia sessista, cosa che sarebbe accaduta se a giacere con il Soumahoro di turno fosse stata un delle sue elettrici, il giornalismo onanista può scrivere e dire la qualunque, trovando ospitalità nelle emittenti di evidente matrice, raccogliendo pure i sospiri coraggiosi (“buono o cattivo gusto, è la satira”) dell’avvocato Conte, che è il Vitangelo Moscada della politica nostrana, anch’egli per un conflitto con il naso, dunque l’uno, nessuno, centomila di Pirandello, con l’epilogo dell’accettazione del nulla.
Non è il caso, come sembra, di ricorrere all’Ordine dei giornalisti per arrivare alla censura del vignettista, basta ridurre il disegno a schizzo, in tutti i sensi. Se qualcuno sente il bisogno di un Charlie Hebdo de noantri, continui pure, ma quando la satira coinvolge i parenti, puzza di mafia.