di SILVIO MARTINELLO (campione olimpico Atlanta 96) – Il mondo dello sport professionistico si sta confrontando con una situazione imprevista e per certi versi epocale: i contratti sono blindati, ma eserciti di esperti di diritto sportivo sono impegnati nel cercare una via da seguire.
Ogni disciplina ha un proprio modello di business ed ogni lega professionistica sta provando a gestire gli ormai certi ed ingenti danni economici, distribuendoli tra tutte le categorie coinvolte, atleti e tecnici compresi.
Nel ciclismo per esempio, alcuni team del World tour hanno già concordato con i loro dipendenti una decurtazione, in Belgio alcuni facendo leva sulla cassa integrazione prevista anche per questa categoria. I media statunitensi ci fanno sapere che nell’NBA il contratto quadro prevede la specifica voce epidemia/pandemia, che consente ai proprietari dei Club di trattenere una quota dai compensi dei giocatori per ogni match non giocato.
Nel Bel Paese impegnato nell’elaborare i lutti e nell’arginare l’emergenza sanitaria, non facciamo differenza naturalmente, e seppur con il rispetto ed il pudore necessari, quando si discute di sport professionistico si parla di calcio.
La retorica nazionalpopolare si accanisce sulle cifre che i giocatori guadagnano, molti commenti fanno leva sui luoghi comuni moralisteggianti che in un momento di emergenza come questo trovano ancor più terreno fertile. Il calcio è un grande business alimentato dall’ardente passione di noi tifosi, anche se spesso rimaniamo basiti di fronte alle prese di posizione che questo mondo “dorato” assume, facendo poco o nulla per apparire integrato nel nostro tessuto sociale. Sovente sembra un mondo che vive fuori dal contesto generale, ed è facile allora prendersela con i calciatori e le cifre che percepiscono, ma il ragionamento a mio parere non deve focalizzarsi su questo, ma sul modello di business di cui sono i protagonisti.
Per percepire cifre rilevanti deve esserci chi te le propone, che a sua volta opera in un contesto economico che consente l’accollo di certi costi, anche se leggendo i bilanci ci si chiede se sia veramente così, ma questo è un altro discorso.
Anche il mondo del calcio è destinato pertanto a subire una profonda trasformazione, “nulla sarà come prima” è un concetto valido per tutti e quando il mercato si impoverirà, anche i contratti dei protagonisti principali subiranno l’inevitabile adeguamento che alcuni analisti prevedono del 30%.
I tagli annunciati da alcuni grandi club e concordati con gli interessati rappresentano pertanto solo l’inizio, ed hanno soprattutto lo scopo di riportare le perdite di bilancio ad una dimensione finanziaria più consona. Ma il ridimensionamento strutturale sarà l’inevitabile e non più procrastinabile passaggio successivo.
Dico subito, accettando il rischio – e non certo il timore – di qualsivoglia critica etica o moraleggiante, che del CALCIO me ne frego.
Nonostante porti il massimo riguardo per tutte le discipline sportive, ho l’opinione che da tempo il calcio non sia più uno Sport , ma qualcosa d’altro .
Quando i danari sono preponderanti rispetto a quelli che continuo a ritenere valori e fondamenta di chi si cimenti atleticamente , professionalmente , si abbia almeno il buon gusto di parlare solo di affari , o business come dicono quelli che la sanno lunga.
Non di volontà, entusiasmo , sacrificio, determinazione , lealtà, colleganza , obiettivo , risultato.
Parole che poco hanno ormai a che fare con il Calcio, ma che hanno oggettivamente ancora cittadinanza nel CICLISMO.
Una massima, datata ma tuttora di realistica attualità, vuole che…….. IL CICLISMO È UNO SPORT DURO !
Caro Silvio, certo che ANCHE il “nostro” Sport subirà ripercussioni dalla tragedia che ha imperversato nel Mondo .
Altrettanto certo che non MOLLEREMO LE RUOTE, lotteremo MORDENDO IL
MANUBRIO , ed anche se A SPALLATE quel maledetto “bastardo” lo SCHIANTEREMO.
E sarà, ancora e sempre, Grande CICLISMO.
Un SALUTONE ed un altrettanto forte augurio, a tutti, di tanta salute.
Fiorenzo Alessi