LA PARABOLA DI SGARBI: NASCERE GENIO E FINIRE SOTTOSEGRETARIO

Siamo talmente abituati a vedere Sgarbi in tutte le sedi e in tutti i formati, che ritrovarcelo sottosegretario non ha stupito quasi nessuno. Eppure c’è qualcosa di triste e di simbolico in quest’ultima versione, qualcosa che sa di crepuscolo e di tramonto. E’ difficile da spiegare, ma è come una contraddizione di termini: per un tizio che ha recitato tutta la vita da pierino, da giamburrasca, da iconoclasta, a seconda dei toni e delle prestazioni richiesti, finire proprio da sottosegretario suona inesorabilmente sconfitta ultima e suprema. Come se un giorno ritrovassimo Vasco a timbrare il certificato dietro lo sportello del catasto. Più o meno una cosa simile.

E’ quasi superfluo raccontare cosa significhino in Italia Sgarbi e lo sgarbismo. Per tutta la vita, l’affermato critico d’arte si è costruito il personaggio fuori dal coro e fuori dal branco, salvo ritrovarsi nella terza età ad assumere il ruolo più banale e più grigio che esista nell’immaginario italiano: il sottosegretario. Cioè quella figura che sta proprio agli antipodi rispetto al genio, al solista, all’irregolare. Quella figura che è per definizione sottomissione, mediocrità, opportunismo. Talmente nitida, come figura del nostro costume, da diventare un santino nelle magistrali caricature di Alberto Sordi. E chi se le scorda.

In questo sta il patetico paradosso di Sgarbi: sentirsi per una vita intera primadonna e ritrovarsi un giorno secondo uomo. Ma d’altra parte, anche se non tiene famiglia, anche lui per campare tiene famiglia. L’hanno capito tutti quanti, neppure lui è quel duro e puro, fuori dagli schemi e fuori dalle righe, che vive d’aria e di battaglie ideali. Il narcisista extralarge che dirige le operazioni dentro la sua persona accetta qualunque ruolo per stare a galla, fino a quello meno narcisistico che esista: il sottosegretario. Accontentarsi, ripiegare, subire. Pur di starci, in qualunque modo, a qualunque costo. Forse un giorno lo chiameranno post-sgarbismo.

Visto lì, nella foto di governo, l’antico rompiscatole fa tenerezza. Alla fine, appare realmente per quello che è: il vero conformista dell’anticonformismo, che in fondo è il conformismo più banale di tutti, perchè si vende da imprevedibile e di rottura, anche se è il massimo del prevedibile e del convenzionale. Non c’è niente di più prevedibile dell’imprevedibilità di Sgarbi, Sgarbi sappiamo sempre quali posizioni assumerà e soprattutto come le esporrà, sbrocco e insulto, insulto e sbrocco. Tant’è vero che guadagna un sacco di soldi perchè lo ingaggiano ovunque, dalle mostre di provincia ai contenitori della tv trash, con un’idea fissa, sempre quella: Sgarbi faccia lo Sgarbi. Una garanzia e un marchio di fabbrica.

Ad ogni modo, scelte sue. A una certa età, ciascuno è responsabile della propria faccia: così scriveva Camus. Ma oltre alla faccia, quando si arriva a una certa età, bisogna anche accettare la responsabilità delle proprie opere. Magari Sgarbi vuole far credere di avere accettato questo posto di seconda fila nella convinzione di essere poi lui comunque il numero uno, il ministro vero, così come Salvini in fondo sta cercando di far credere d’essere il premier, manovrando a proprio piacimento la marionetta Meloni. Ma è una tecnica abbastanza malinconica. Da narciso in rottamazione. Per quanto la racconti, per quanto la venda a modo suo, la verità resta: Sgarbi è un sottosegretario.

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