LA NOTTE MAGICA DI LACRIME&GOL

La notizia c’è ed è vera, sorprendente, suggestiva: i calciatori hanno un’anima. Qualcuno, per lo meno. Tra SUV, tatuaggi, acconciature geroglifiche e platinate, anelli e gossip, è riuscito a farsi strada il cuore. Si è socchiuso un pertugio la poesia. A Napoli e Londra, nella notte di Champions League, sono state versate lacrime per un traguardo raggiunto, lacrime di gioia per il pagamento – stavolta non in assegni – di sacrifici, speranze, sogni realizzati.

Stadio Maradona. Il Napoli sta strapazzando il Liverpool, una serata di magia e suggestioni, folla in delirio già nel primo tempo. La squadra di casa sta vincendo 2-0 e ha pure sbagliato un rigore, i “reds” hanno il colore della vergogna sportiva per ciò che subiscono e ciò che non riescono a fare, al cospetto di un avversario dirompente. Si infortuna la stella, il centravanti Osimhen, asso elegante e potente. E’ il 43′ del primo tempo e al posto della gazzella nigeriana entra “El cholito”, il piccolo meticcio: Giovanni Simeone da Buenos Aires, 27 anni, figlio d’arte di Diego, applaudito ex giocatore di Pisa, Lazio e Inter, da anni tecnico dell’Atletico Madrid. Giovanni ha segnato 67 gol in serie A tra Genoa, Fiorentina, Cagliari e Verona. E’ approdato al Napoli quest’anno e ha la Coppa dalle grandi orecchie, la Champions, tatuata sul braccio.

Il cholito entra in campo, fa una corsetta verso l’area di rigore, il talento georgiano Kvaratskhelia lo vede, svicola sul fondo a sinistra e allunga al centro. Per Simeone è il primo pallone toccato nella sua vita, nella sua carriera, in Champions: deve solo appoggiare a porta vuota, è gol! 3-0. Al Liverpool! Giovannino scivola sull’erba e si porta le mani agli occhi, comincia a piangere e non smette più. Si bacia il tatuaggio. Gli occhi rossi, il lento rientro a centrocampo continuando a guardare il cielo, il suo braccio, la gente impazzita sugli spalti.

A fine partita, davanti alle telecamere, si emoziona di nuovo: “Lo sapevo, me lo sentivo, lo sapevo”, ripete strozzato. Una occasione, chiedeva, una sola occasione. Ed è arrivata, subito, contro i mitici reds inglesi nello stadio (il suo stadio) più argentino di tanti in Sudamerica, il “Maradona” di Napoli. Mentre parla, vede apparire sul tabellone luminoso “Atletico Madrid 2 Porto 1”, ha vinto anche papà. Esulta: “Lo sento tutti i giorni”, e giù un altro singhiozzo. “Ringrazio anche chi non ha mai creduto in me, è servito tutto a spronarmi”.

Londra. Tottenham-Marsiglia, derby tra gli amici Conte e Tudor, oggi allenatori rivali, una volta compagni nella Juventus. Partita ostica, appiccicosa, in bilico: 0-0 a un quarto d’ora dalla fine. Tra i londinesi gioca il brasiliano Richarlison, 25 anni di cui gli ultimi 4 vissuti con la maglia dell’Everton. Uno dei talenti più splendenti della Premier, ma carattere bizzoso, scostante, fumino. Testa da cavallo selvatico, non si educa e non si addestra, natura sudamericana imprigionata nei cieli plumbei dell’Inghilterra.

E’ il 76′: cross da sinistra, zuccata di Richarlison, gol. Passano 5 minuti, è l’81’: cross da sinistra, zuccata di Richarlison, 2-0. Doppietta in fotocopia, primi gol della sua vita, della sua carriera, in Champions. Li segna proprio con quella testa da cavallo selvatico, che non si educa e non si addestra.

Al fischio finale corre verso la tribuna, in prima fila ci sono il papà e la fidanzata. Si abbraccia al genitore e scoppia in un pianto a dirotto mentre, da dietro, la donna lo accarezza, appannata a sua volta dalle lacrime. Una scena lunga e toccante. Più tardi un tweet in portoghese: “Foram anos de luta, e você sempre esteve ao meu lado. Só preciso agradecer por não desistir de mim e do meu sonho. Hoje, ter você na aqui, tornou o momento ainda mais emocionante p mim. Seguimos juntos por sonhos ainda maiores que virão! Obrigado, pai!”. (Sono stati anni di lotta, e tu sei sempre stato dalla mia parte. Ho solo voglia di ringraziarti per non esserti mai arreso con me e con il mio sogno. Averti avuto qui in questo giorno ha reso le cose ancora più emozionanti, per me. Continuiamo insieme per raggiungere sogni ancora più grandi. Grazie papà).

E grazie a voi due, ragazzi. Giovanni Simeone e Richarlison de Andrade. Tra fasulli baci alle maglie, cuffie e cellulari in campo, SUV, anelli e meches, ci eravamo dimenticati aveste un’anima e un cuore. Invece la vostra è limpida, il vostro pulsa, e anche noi ci siamo commossi ed emozionati, per i gol e per la gioia così pura, così semplice, così vera. Almeno una volta, in una notte magica e strana.

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