LA NOSTRA CLAUSURA SENZA SAPERE SE E’ COVID

di GHERARDO MAGRI – Cronaca di un’ordinaria storia di ipotetico Covid. La cruda sequenza. Mia moglie presenta sintomi sinistri: raffreddore fortissimo, tosse squassante, mal di testa feroce e mal di gola, febbriciattola. Dopo due giorni di dura resistenza, decidiamo di consultare telefonicamente il medico di base per avere consigli sulla migliore terapia. Sento subito il medico sottoporla a un’intervista serrata. Vedo l’espressione della mia metà cambiare di colpo e la sento snocciolare una serie di dati identificativi che mi preoccupano. “Cosa sta succedendo?”, cerco di inserirmi. Niente da fare.

Senza alcuna esitazione, il medico la segnala all’ATS di Bergamo per l’esame del tampone, ovviamente ordinando uno stretto isolamento domiciliare istantaneo sia a lei che a me, fino all’esito.

Maledizione. Siamo colti di sorpresa. E tutte le incombenze ravvicinate, il mio lavoro, come si fa? Il confine tra una semplice influenza e il Covid è sottile: finchè non si fa chiarezza, è un incubo. Il bello è che non le viene prescritta nessuna terapia, ovvio, se fosse Covid non serve. “Ma neanche un palliativo, dottore, io sto male?”. “Tutt’al più una tachipirina, arrivederci”.

Lo sbigottimento è forte. Piombare in quarantena di colpo, per di più malati senza diagnosi, non è facile. Assorbito il piccolo trauma, prende il sopravvento la razionalità e apprezziamo che, sia pur in modo abbastanza brutale, ci sia una vigilanza così elevata. Va bene, organizziamoci. Aspettiamo la convocazione per il tampone.

Pensando di accelerare il processo, chiamiamo un laboratorio privato per effettuare il test. Impossibile, una volta iscritti al sistema sanitario pubblico non si può fare. Scatta il conto alla rovescia. Lunedì la telefonata, mercoledì altro interrogatorio dell’ATS locale e venerdì la convocazione: passano quattro giorni.

Mia moglie si presenta puntuale e si mette pazientemente in coda all’aperto. C’è all’incirca una cinquantina di persone. Il tempo è bello per fortuna, però in caso di bombe d’acqua cosa sarebbe successo? Tutti potenziali Covid, cioè gente già bella costipata, che rischia solo di aggravarsi. Non proprio una bella partenza.

Fatto il test, inizia la seconda attesa: per i risultati. Alla domanda di informazioni, risposte vaghe, ma con previsioni di due-tre giorni. Il secondo countdown è peggiore del primo, garantisco. Perché ci immaginiamo (meglio dire sogniamo) un paese efficiente, che dovrebbe pensare anche alla giusta ansia dei candidati-Covid che vogliono la verità, qualunque essa sia. Sabato-domenica-lunedì-martedì-mercoledì-giovedì: nessuna traccia. Decine di telefonate alla sconsolata e gentile impiegata, che si dichiara rammaricata per una chiara situazione di impotenza. Chissà quante telefonate riceve, la poverina. Nel frattempo, ci siamo arrangiati con una cura fai-da-te, guardandoci bene dal chiamare altri operatori.

Giorni totalizzati al momento: undici, con zero risposte. L’ansia cresce perché adesso ci stiamo infilando dritti nel lockdown della zona rossa. Un bel filotto.

In sostanza, mia moglie ha già fatto una quarantena intera al buio, senza però sapere se è negativa o positiva. Ovviamente, metto davanti a tutto, desidero fortemente che l’esito sia favorevole per la salute. Ma anche per il timore di ricominciare da capo.

Un pensiero su “LA NOSTRA CLAUSURA SENZA SAPERE SE E’ COVID

  1. giacomo buzzetti dice:

    questo nostro paese che sembra sempre sicuro su ciò che è di destra e di sinistra e non si preoccupa di organizzare quel che sicuramente è giusto per tutti. Mi spiace molto vedere che abbiamo strumentalizzato anche ciò che non dovrebbe mai essere messo in discussione. Augurissimi.

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