LA NORMALITA’ ECCEZIONALE DI ANCELOTTI, SCARTATO COME PERDENTE

Celebrazioni e complimenti, come si usa fare con un parente lontano che compie gli anni. Non si segnalano approfondimenti e considerazioni serie sul professionista e sul suo lavoro.

Carlo Erminio Ancelotti, di anni sessantadue, ha vinto il quinto campionato in cinque città, nazioni e club differenti, però i migliori d’Europa. Oltre al record leggendario ci sarebbe altro, ma i nuovi docenti di football, la scuola universitaria degli ex calciatori, oggi opinionisti, evitano di considerare il primatista come un esempio per i colleghi, invece preferiscono sottolineare la fortuna, di quattro lettere, che accompagna l’uomo di Reggiolo, uno che, secondo loro, se comprasse un Gratta e Vinci troverebbe il jolly da 100 milioni di euro.

Il successo normale, ordinario, umano, provoca fastidio agli scienziati del quattrotretre, loro presumono che senza il kamasutra tattico non esista il gioco del calcio, dimenticando però la prima posizione, dunque saper giocare a football, elementare Carlo.

Nessun dubbio che la carriera di Ancelotti abbia attraversato anche momenti poco esaltanti, dico da allenatore, tipo la coppa Intertoto comunque vinta con la Juventus, squadra nella quale lo volle Moggi nonostante la raffinata accoglienza dei tifosi bianconeri che definirono Carlo Erminio “un maiale”, non sapendo che lo stesso Ancelotti avesse memorie bellissime d’infanzia quando veniva il tempo, nella cascina di Reggiolo dove suo padre era mezzadro, di far festa per l’uccisione del “nimél” e poi godere delle sue carni. Niente, lo mandarono via con la patente del perdente, o del non vincente, solo perchè a campionato stravinto il suo portiere prese gol inenarrabili e poi fu persino costretto a giocare una partita in una piscina di Perugia, lasciandoci la zampa nel modo più surreale. Ancelotti non all’altezza, e poi non era neppure di fede, venendo dall’epopea milanista.

Gli stessi ultras avrebbero accettato altre porcate però ben vestite, invece Carlo andò a trovare gloria vera a Milano con tutta l’argenteria portata a casa da Berlusconi.

Come giocano le squadre di Ancelotti? La risposta all’interrogativo sta scritta negli almanacchi, il resto è fuffa di propaganda tra risultatisti e giochisti, tra chi spaccia football e chi lo vive seriamente, senza strilli e gesti teatrali.

Il massimo per Carlo è masticare un chewing gum, facendo un conto a spanne sarebbe oggi azionista di maggioranza di qualunque gomma americana o nostrana. Vincere con il Milan non è difficile, vincere con il Chelsea anche, con il Bayern non vi dico, con il Paris St Germain poi, infine con il Real Madrid è normalissimo, però bisogna riuscirci, superando smorfie e parole di compassione.

La virtù di Ancelotti è quella di non avere mai dimenticato la radice, dunque il nonno Erminio che piangeva osservando il tramonto, il padre Giuseppe che stava sul trattore Fiat da 21 cavalli e consegnava al padrone il raccolto di mais e di grano, le corse in bicicletta lungo i tratturi polverosi della Bassa, il tifo per Boninsegna e l’Inter, la venerazione per la classe e lo stile di Eugenio Ghiozzi in arte Gene Gnocchi, un album di famiglia che si porta appresso anche nello spogliatoio, dove lo segue e impara suo figlio Davide.

Da “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla: “L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. In breve: Carlo Erminio Ancelotti.

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