LA NOBILTA’ DI UN PADRE CHE CI ZITTISCE TUTTI

La nobiltà. Eh già, la nobiltà: ogni epoca ha i suoi nobili, le sue meraviglie e le sue magagne. Per un Filippo Adimari che ferrava d’argento il suo cavallo, c’era un Guinizzelli che stigmatizzava l’alterigia feudale, contrapponendole la gentilezza dell’animo, la nobiltà dello spirito.

Anche oggi è così: in questo povero mondo, apparentemente privo di qualsivoglia aristocrazia vera e afflitto da parvenu spaventosi, che ragionano di pizze vip e di denaro, io vorrei parlarvi di un uomo dal nobilissimo profilo, dallo spirito di una generosità rara. Si tratta di un padre che ha perso, per un incidente, il proprio figliolo: un dolore che supera l’immaginabile. Sopravvivere a un figlio è una pena atroce, che io, come padre, posso soltanto compatire, ma non comprendere. Eppure, la cronaca ci parla di un signore che, nonostante queste premesse terribili, ha saputo esprimere un concetto di una nobiltà sovrumana.

Perché questo signore, Enzo Garzarella, da Salò, ha perso il proprio figlio trentasettenne, ucciso insieme a una ragazza di venticinque anni, su di un gozzo, travolto dal motoscafo di due amici tedeschi, una bella sera d’estate, sul lago di Garda: un incidente spaventoso, dovuto alla distrazione del pilota del motoscafo. Corresponsabile dell’impatto è stato indicato il passeggero dell’imbarcazione pirata: Christian Teismann, un manager cinquantenne, che, a casa sua, è considerato un assassino (parole sue) tout court e che per questo ha perso il lavoro.

I due, il padre della vittima e il complice, diciamo così, dell’omicidio, si sono incontrati a Salò, davanti alla tomba del figlio di Garzarella, Umberto: non si può dire che ci sia stato un perdono, nel senso manzoniano del termine, ma i due si sono parlati e, forse, si sono capiti.

Tuttavia, non è questo il punto: il punto sono le parole di Enzo Garzarella, che, intervistato dal cronista, ha commentato il licenziamento di Teismann con rammarico. Non si può rovinare così un padre di famiglia, ha detto: lui, padre di famiglia che ha visto disintegrare la sua vita, il suo lavoro i suoi affetti, in un maledetto attimo, quando il motoscafo dei due tedeschi ha spezzato le vite dei due ragazzi.

Confesso che ho pensato a lungo a quel che si possa provare in certi momenti: così, a caldo, di fronte a un’ingiustizia così smisurata, mi verrebbe da dire che impugnerei la doppietta e andrei a cercare i colpevoli. Ma sono cose che si dicono: il dolore è altra cosa e non sa di doppiette. Il dolore si centellina nelle lunghe serate solitarie, nel silenzio delle assenze, nello strazio della memoria. Per certo non saprei avere parole di comprensione e di solidarietà per chi ha ammazzato mio figlio: per quello occorre ben altro carattere che il mio, ben altra nobiltà.

Ecco, la nobiltà: di qui eravamo partiti e qui ritorniamo. Una nobiltà talmente serena e luminosa da far sembrare tutto il resto abissale miseria. Ve la regalo: vi regalo questo messaggio di formidabile compostezza e umanità. Perché anche voi, come me, non perdiate del tutto la speranza nell’uomo. Grazie Enzo, davvero.

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