LA MUTANDA GREEN DI PRATESI

Se vogliamo dirla tutta, al paleolitico, dal punto di vista socio-culturale, c’eravamo già tornati: un mondo in cui Fedez o Celentano siano dei mastri pensatori, non si discosta molto dalla civiltà di Altamira o di Lascaux. Lì tiravano lance contro animali dipinti sui muri per propiziare una buona caccia: qui si tirano bambocciate a caso, per propiziare non si sa bene cosa, ma il discorso è quello. Vabbè, fin qui c’eravamo arrivati: o tempora o mores e consimili cimminiane geremiadi.

L’asticella, però, bisogna sempre alzarla, ed ecco che il venerando Fulco Pratesi, padre nobile dell’italico ambientalismo e, per la verità, non nuovo a esternazioni, diciamo così, pittoresche, se ne torna fuori con una trovata che, passin passino, ci avvicina un altro poco alla preistoria. L’ideona maturata dal Pratesi è la seguente: siccome di acqua ce n’è sempre meno, evitiamo pure di lavarci con eccessiva frequenza. Insomma: puzzare come un cane morto è il nuovo standard dell’ecologismo. Lui stesso proclama, orgogliosamente, di fare la doccia con imbarazzante infrequenza, di non tirare sempre lo sciacquone del cesso e di cambiarsi la mutanda un attimo prima che se ne vada via da sola, a dorso di camola. Il che, in una società che, fino a ieri, era superigienica, disinfettatissima e, mercè il covid, addirittura asettica, ammetterete che è una bella rivoluzione. Dunque, il rivoluzionario Pratesi, quando si reca a convegni e simposi, sotto la camicina e il pantaloncino comme il faut, indossa canotte con le macchie d’unto e mutande con le sgommate. Capito bene, organizzatori? Pensateci!

Questa drammatica situazione non è uno scherzo, intendiamoci: il consumo idrico è un problema gigantesco. Lo scherzo sono le trovate alla Pratesi: fra un po’ ci suggeriranno di indossare tute fremen e riciclare la nostra pipì!

Eppure, qualche rimedio in pretto stile ‘sora Lella’ ci sarebbe pure: ad esempio, riparare le falle dei nostri acquedotti. Quello pugliese, vanto dell’esecrato regime, pare perda metà della sua acqua lungo la strada. Oppure, sfruttare intelligentemente gli invasi montani: quelli che ci sono già, perché si parla di crearne di nuovi, laddove non si utilizzano i vecchi. E, soprattutto, bisognerebbe spiegare alla gente (e, magari al Pratesi), che l’acqua dello sciacquone non è a perdere: esiste un fenomeno naturale, che si chiama “ciclo dell’acqua”, per cui tutta l’acqua che si utilizza si rimette in circolo. Evapora, condensa, ritorna: mica si disintegra a ogni bisognino.

Altro discorso è quello del lavarsi le mutande: lì, potrebbe darsi che le scorie accumulate tra le fibre del cotone raggiungano tali tassi di nocività da produrre una vera e propria disintegrazione molecolare. Ma non voglio entrare nel complicato: vi rimando al mio saggio “Immutatis mutandis”, in cui tutta la faccenda è splendidamente spiegata. Se, poi, qualcuno tra i miei quattro lettori non si accontenta delle mie parole e ritiene che la dottrina Pratesi sia più convincente, gli suggerisco svolte ancora più estreme, sulla strada del Neanderthal: ad esempio, fare i propri bisogni nella cassettina del gatto. La sabbietta non incide affatto sul consumo idrico ed è disponibile in molte gradevoli profumazioni. Oppure, utilizzare mutande di calcestruzzo, praticamente eterne, che si possono pulire, ogni due o trecento anni, con un banale flessibile. Insomma, molte sono le cose fra la terra e il cielo. Tutto sta a capire quale sia la terra e quale il cielo, Orazio.

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