LA MEDAGLIA DEI GIUSTI A LUOL DENG

Nessuno darà una medaglia a Luol Deng, né lui se l’aspetta. Anche se a modo suo è uno dei vincitori di queste Olimpiadi. Glielo hanno riconosciuto i siti specializzati, non la grande stampa: in fondo, quello di restare dietro le quinte è il destino che si è scelto lui.

Ma chi è Luol Ajou Deng? E’ un ex cestista e poi dirigente sportivo nato in Sud Sudan 39 anni fa, con cittadinanza britannica e un lungo passato in Nba. Oggi è il presidente della federazione del suo Paese, che per la prima volta ha partecipato ai Giochi nel basket. Lui li ha disputati con la Gran Bretagna a Londra, semplicemente perché dove è nato non c’era ancora una federazione: l’hanno creata una dozzina di anni fa, quando è finita la guerra d’indipendenza civile dal Sudan, costata oltre due milioni e mezzo di morti in vent’anni. Conflitto di cui ancora oggi il più giovane Stato del mondo porta le conseguenze con la sua povertà, la mancanza di risorse e una situazione politica ancora non tranquilla.

Ultimo di nove fratelli, originario della tribù dei Dinca, dove gli uomini sono tra i più alti al mondo, Deng scopre il basket da rifugiato in Egitto e comincia a giocarlo nel Regno Unito, dove il padre Aldo ottiene asilo politico. Sbarcato negli States a 14 anni, stupisce al liceo, dove meglio di lui viene considerato soltanto LeBron James, si conferma a Duke, una delle università cult a livello di canestri, infine a 19 anni viene chiamato come settima scelta assoluta dalla Nba. Fra stagioni luminose e annate condizionate dai guai fisici, vi resta più di quindici anni, giocando a Chicago, Cleveland, Miami, Los Angeles e Minnesota. Premiato dalla Lega per la sportività in campo, crea una Fondazione a suo nome, che fra tanti progetti ha anche quelli di garantire beni di prima necessità alle popolazioni africane e di fornire educazione scolastica e sportiva ai bimbi disagiati.

Con una carriera così, è inevitabile che a Deng si gonfi il conto in banca: se però ti gira male, a sgonfiarsi è la tua reputazione. E infatti: firmato un quadriennale da 72 milioni di dollari nel 2016 coi Lakers, il cestista africano passa più tempo a guardare che a giocare per colpa degli infortuni. Incassa ugualmente il denaro stabilito, ma incassa anche insulti e critiche velenose, perché l’America non ti perdona niente: la stampa più benevola lo definisce un idolo perché riesce a guadagnare tanti soldi senza neppure sudare, quella più feroce lo definisce un approfittatore. E lui, di fronte a queste accuse, reagisce in un solo modo: resta in silenzio.

Che Deng non sia esattamente un arraffatore della peggior specie si è scoperto in queste giornate parigine: a rivelarne il motivo è stato il suo grande amico Royal Ivey, ex giocatore Nba e tecnico della squadra. ‘Negli ultimi quattro anni Luol ha finanziato di tasca propria l’intero progetto della Nazionale sudsudanese. Paga le palestre, gli alberghi, i biglietti aerei: paga tutto lui. A Deng e al suo staff possiamo solo dire un grande grazie, senza di loro non saremmo stati in grado di formare questa squadra e di essere qui a Parigi’, ha rivelato l’allenatore dopo lo storico successo su Porto Rico (mai un team africano di basket aveva vinto all’esordio olimpico), arrivato dopo una storica gaffe dell’organizzazione (prima della gara è stato suonato l’inno del Sudan anziché quello del Sud Sudan).

‘Non è facile, ma è emozionante’, le uniche parole concesse sull’argomento da Deng, presidente di una squadra che ha formato chiamando personalmente i giocatori in ogni angolo del mondo e arrivata a Parigi senza aver mai giocato una partita nel proprio Paese, perché non esiste un palasport. Pur essendo finita nel girone eliminatorio (con Usa e Serbia), l’avventura del Sud Sudan ai Giochi non è un punto d’arrivo, ma di partenza: il progetto prevede adesso la costruzione di campi da basket in tutto il Paese, per sviluppare i talenti locali e render ancor più competitiva la Nazionale. Con buona pace di quei gran criticoni degli americani, che adesso sanno quale (buona) fine abbiano fatto i soldi incassati da Deng per non giocare.

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