Proprio a un niente dalla riviera romagnola, all’altezza di Forlì, un pullman proveniente dalla città ucraina è uscito di strada e in modo rovinoso si è ribaltato. 22 persone ucraine a bordo, ma solo 21 potranno assaporare la salvezza e il coronamento della fuga dall’inferno.
Una giovane donna di 32 anni è morta schiacciata, un destino infame ha fatto sì che una lamiera potesse più dell’invasore. Destino o quel che è. Gli incidenti stradali accadono, ogni giorno e a qualunque latitudine, quindi dovrei forse parlare semplicemente di caso, un caso innescato da una distrazione, dalla stanchezza immagino, da un errore umano quasi sicuramente.
Ma oggi non voglio scovare un colpevole, oggi ho solo voglia di prendermela con qualcuno, o qualcosa, a cui non so dare un nome, una forma, un senso.
Una rabbia e una tristezza che non si possono misurare o volgere in pensieri che abbiano un significato. Scappare dalle bombe, dal feroce invasore, e trovare la morte su un’autostrada italiana, a un millimetro dall’aria tersa e non offuscata dal fumo, quel fumo che anche se ancora non vedi sai che arriverà. Quale senso può avere tutto questo? Non ne ha, lo so bene, non c’è disegno divino o fato o predestinazione, c’è l’uomo e la sua fallibilità.
Scopro poi che a bordo di quel pullman c’erano anche i due figli della giovane donna, cinque e dieci anni, e allora il pensiero corre a loro e all’unico senso che davvero conta, il senso che i due bambini dovranno trovare per tutto questo, le bombe, la fuga, l’incidente, la morte della loro mamma.
Li abbraccio un po’ quei due bambini, li abbraccio in silenzio. Io un senso non lo trovo, ma spero così tanto che da qualche parte loro possano trovare la forza per vivere, fieri della loro mamma.
Poi niente, taccio. Parli, se crede, chi vuol sentire anche l’altra campana.