LA LIVELLA CHE RENDE UMANA ANCHE UNA REGINA

di ELEONORA BALLISTA – Da quando è morto, dieci giorni fa, la frase che più ha accompagnato il nome del principe Filippo di Edimburgo è stata “un passo indietro”.

Un passo indietro alla regina, sua moglie, per tutta la vita. Così lo hanno visto tutti, sudditi britannici e resto del mondo.

L’unica che forse non lo ha mai considerato “indietro” ma “accanto” è stata proprio Elisabetta.

In 73 anni di matrimonio, che io non credo siano stati sempre d’amore, la regina ha potuto sempre contare sul determinante consiglio di suo marito in quella difficilissima prova che è gestire un regno.

Per un parere, per un secondo punto di vista, anche per discutere prima della decisione finale.

Erano sposati, si discute, questo succede nei matrimoni.

E nonostante le possibili differenti visioni, sono rimasti sempre insieme.

Forse il segreto della longevità della loro unione sta proprio nel progetto comune che perseguivano: oltre a condividere il talamo nuziale, in sostanza, Filippo ed Elisabetta lavoravano insieme.

Ed era stato proprio il re, Giorgio VI, papà di Elisabetta, a incaricare Filippo di prendersi cura della figlia, non solo come donna ma soprattutto come sovrana: “D’ora in poi, lei sarà il tuo lavoro”, gli aveva detto.

E Filippo è stato di parola, fino alla fine.

Elisabetta ha deciso di dare l’ultimo saluto a suo marito in completa solitudine. Nessuno sulla Bentley reale che l’ha accompagnata alla cappella di Saint George, nel castello di Windsor; nessuno accanto a lei in chiesa; nessuno quando si è alzata dallo scranno sul quale era accomodata e ha guadagnato l’uscita.

La regina ha 93 anni, sarebbe stato legittimo pensare di vederla al braccio almeno del primogenito Carlo. Invece no, tutto in solitudine, a certificare agli occhi di tutti (la cerimonia è stata trasmessa in mondovisione) che se accanto a lei non può più esserci suo marito, allora non può esserci nessuno.

Osservandola dalle inquadrature che la diretta del funerale rimandava, mi è parso di scorgere nella sovrana, fra la tesa nera del cappellino e la protezione della mascherina, più che uno sguardo di tristezza, un’espressione stanca: come a dire “Bè, adesso che te ne sei andato, tutto sarà più di routine, più scontato, ci penserà il cerimoniale”.

Ma sono pensieri che la regina può sentire esclusivamente dentro di sé, e mai e poi mai esternare.

Perché la sua parola pesa, così come la corona che porta in testa.

Le poche persone ammesse al rito funebre, soltanto trenta, davano alla cerimonia un che di normalità, non fosse che ad un funerale eccellente, e spiato in ogni dettaglio come quello di un reale, non ci si può presentare come si vuole.

Ed ecco che allora le signore finiscono sotto la lente come fossero a una sfilata: il cappotto, il cappello con veletta e soprattutto le perle di Diana per Kate; le scarpe, décolleté bordeaux, indossate da cugine, cognate e nipoti (erano quasi tutte uguali: mi sono chiesta se anche per quelle ci fosse una indicazione di palazzo); gli abiti civili per gli uomini al posto della divisa d’ordinanza, omaggio della regina al nipote Henry spogliato dei titoli militari dopo la Megxit.

Tutto preparato, tutto controllato, tutto sul programma del cerimoniale.

Tutto tranne i pensieri della regina, quelli erano solo suoi.

Un tratto di umana autenticità che la accomuna al resto dei mortali, nello sconforto di quando perdono la persona più cara.

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