Non si può certo dire che, nella sua lunga carriera, Roberto Benigni le abbia azzeccate proprio tutte: chi si è sottoposto ai 116 minuti del film “La tigre e la neve” lo sa per certo.
Tuttavia, dopo la sua diretta di mercoledì sera su Rai 1 – “Il Sogno” -, nessuno potrà negargli quell’ineffabile qualità o fortuna chiamata tempismo. Nel giorno in cui Giorgia Meloni mette scompiglio in Parlamento con il suo affondo sul Manifesto di Ventotene, Benigni ha a disposizione la platea televisiva per parlare di Europa con un discorso che, a seconda dell’inclinazione politica dei commentatori, è stato poi definito “lectio magistralis”, “celebrazione”, “pezzo di storia”, “propaganda”, “comizio”.
Da qualunque parte lo si prenda, “Il Sogno” si inserisce in un filone inaugurato da Benigni molto tempo fa: preso un testo “sacro” – nel senso liturgico o letterario del termine – egli sa presentarlo con una passione e un impeto analitico difficilmente eguagliabili. Lo ha fatto con la Divina Commedia, con i Dieci Comandamenti e con i Vangeli.
Ecco perché la sua difesa del Manifesto è parsa efficace: a differenza di Giorgia Meloni, Benigni non ha dimenticato che un programma politico di quel livello, maturato in specifiche circostanze di una specifica stagione storica, ha in sé un nucleo “sacro”, e dunque non è solo un elenco di propositi, ma rappresenta un ideale, uno spirito, una spinta a immaginare – almeno immaginare, perfino in termini di letteratura – un futuro più respirabile. A differenza di Giorgia Meloni, Benigni ha voluto portare in evidenza il cuore del testo, la sua anima. Non stupisce che da destra si possa (e si debba) criticare una parte del Manifesto: se però si dimentica di dire che il suo appello a superare storicamente nazionalismi costruiti su presunzioni di superiorità razziale e culturale e su aggressive ambizioni espansionistiche, ha contribuito, una volta applicato almeno in parte all’Unione Europea, ad assicurare al Continente ottanta anni di pace, allora abbiamo un problema. Un problema di comprensione storica, politica, civile.
Sarà ben legittimo che l’Europa di Giorgia Meloni non sia quella “rivoluzionaria” o che pone limiti severi alla proprietà privata, ma se è anche quella che ancora guarda al vicino come nemico o preda, qualche domanda dobbiamo farcela. E non importa che a ricordarcelo sia stato un personaggio che, quando fa comodo, riduciamo alla figura di comico: in quel che ha detto c’è poco da ridere.