LA LAMORGESE, UNA TIPA DA SBARCO

di GIORGIO GANDOLA – Trattenete almeno il barboncino. Un guinzaglio dovrebbe bastare, purché sia di Vuitton per non scatenare l’indignazione animalista. Nell’estate italiana si sentiva la mancanza dell’ennesima emergenza (vera, non solo nei paradisi artificiali social): quella degli sbarchi. E vedere arrivare un gommone da Tunisi con alcuni turisti in bermuda, cappello di paglia da Ultima spiaggia a Capalbio e barboncino al seguito ha indotto molti italiani a credere che i presunti disperati non stessero scappando da fantomatiche guerre subsahariane ma dal Club mediterranèe di Djerba. Se a questa curiosità aggiungiamo la fuga di un centinaio di profughi in quarantena dal Cara di Caltanissetta (intercettati dai carabinieri, tre) abbiamo il solito quadro da Asilo Mariuccia dal quale pretendiamo che i partner europei prendano le distanze quando andiamo a chiedere soldi a Bruxelles.

Poiché da commediografi della vita ci piace fare le cose bene, mentre i profughi scappavano dalla quarantena, alpini in assetto di guerra pattugliavano le spiagge della penisola con l’ordine non di cercare loro, ma di verificare che i cittadini italiani stessero adottando le quattro opportune restrizioni governative: distanziamento, mascherine, niente Spritz, sguardo terrorizzato verso ottobre. Così il corto circuito è completo ed è di quelli che riportano Matteo Salvini automaticamente in auge senza muovere un dito: italiani sotto tiro dell’esercito, migranti irregolari (in arrivo da paesi con il virus cinese) liberi di muoversi per i fatti loro. Però non si dica che non siamo rigorosi: per l’emergenza sanitaria abbiamo rimandato in Colorado dieci americani arrivati con jet privato. Quando ci vuole, ci vuole.

Dietro il colorito e sgangherato presente c’è sempre un volto. Questa volta è quello del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, della quale avevamo apprezzato il silenzio rispetto alla precedente gestione, senza sapere che dietro il silenzio si nascondeva la paralisi. All’ex prefetto di Milano, teorica dell’accoglienza diffusa (con tifosi da curva soprattutto fra i gestori di cooperative avventuriste e gli scafisti) sarebbe bastata una gestione saggia del problema per passare inosservata. Niente eccessi, misure anticontagio rigorose, qualche dispiaciuto no, qualche grido d’allarme nel chiuso d’una stanza a palazzo Chigi, qualche dirottamento strategico verso mamma Europa. Niente da fare, lei ha preferito battere i record: luglio non è ancora finito e sono già arrivati 4.300 migranti contro i 1000 dello scorso anno. Il centro di accoglienza di Lampedusa ha una capienza di 95 persone e ne sta ospitando 960, con quali immaginifiche misure sanitarie non è dato sapere. Se l’accoglienza è nobile, l’autolesionismo politico è sciocco.

Oggi ogni immagine del ministro vale mille voti in più per la Lega. Il fallimento della politica di Lamorgese (che ovviamente non è un’isola nella corrente ma risponde alle troppe anime del governo Conte) è evidente. Qualche sospetto avrebbe dovuto suscitarlo subito, quando di ritorno dal summit di Malta (settembre 2019) ci fece sapere di avere ottenuto due successi epocali: la redistribuzione dei migranti in Europa e la rotazione dei porti. Effettivamente una redistribuzione naturale c’era stata: i profughi erano scappati ovunque e purtroppo continuano a farlo durante l’emergenza sanitaria. Ma la rotazione che sperava Lamorgese era Catania-Marsiglia-Valencia, quella che le hanno fatto firmare è risultata: Catania-Siracusa-Lampedusa-Pozzallo-Palermo. «Se volete vi concediamo anche Bari». Com’è buono lei. Pure Azzolina o Toninelli avrebbero capito che qualcosa non andava.

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