Chi rompe paga. E i cocci sono suoi, diranno subito i miei piccoli lettori. Invece no: in questo meraviglioso Paese, chi rompe non paga e i cocci sono pure da smaltire, a carico del danneggiato. Perlomeno, così accade quando quegli animali da cortile, impropriamente definiti studenti, occupano le scuole, sfasciano, vandalizzano, imbrattano e così via. Come credo sia noto, io, da sempre, avrei risolto la spinosa questione delle occupazioni a calci nel preterito: ma io, altrettanto notoriamente, sono un passatista, misoneista e chi più ne ha più ne metta. Perciò, non faccio testo.
Invece ne fa, eccome, il ministro Valditara. Innanzitutto, perché io non sono nessuno e lui è un ministro. E, poi, perché è un moderato, un ultramoderato, e immaginarlo a prendere a calci qualcuno, sia pure un laido occupatore, mi pare francamente inverosimile. Ciò nonostante, dopo tali e tante dimostrazioni di vandalismo, perfino Valditara ha deciso di entrare in guerra. E’ il momento delle decisioni irrevocabili o, perlomeno, delle decisioni: è pur vero che proclamare non costa nulla, mentre mettere in pratica è un filino più difficile, tuttavia, Valditara, stavolta, pare fare sul serio. Nel senso che, con incrollabile fiducia nel nostro sistema giudiziario, ha annunciato di volersi costituire parte civile contro gli studenti che danneggino il materiale scolastico, allo scopo, lodevolissimo, di dimostrare come la responsabilità penale sia personale e individuale.
Insomma, per farla breve, chi rompe pare destinato a pagarla: ammesso e non concesso che si verifichino le seguenti circostanze. Primo: che Valditara faccia sul serio e non si presti ad un’ingloriosa retromarcia, dopo aver fatto il “tron de Dieu” ad uso della platea. Secondo: che la magistratura non ci trovi nulla da eccepire. E, dato che la magistratura pare alquanto incline ad eccepire, non ne sarei tanto sicuro. Terzo: che le autorità scolastiche non si mettano di traverso. Infine, che la massa gemente e flente dei genitori non scenda in campo coi suoi consueti piagnistei, a tutela dei propri innocenti pargoli, inscenando una di quelle geremiadi che, in Italia, terra di piagnoni quant’altre mai, ottengono sempre una certa audience.
Dunque, un bravo al Valditara, fino a qui sembrato una sorta di inerte fotocopia degli inetti che lo hanno preceduto nel dicastero: se desse qualche segnale di vita, non potrei, sinceramente, che applaudirlo. Però, c’è una serie di però grandi come case: non solo quelli che, brevemente, ho accennato, ma molti molti di più: la scuola è un malato terminale e pensare di guarirla dai danni pluridecennali è pura utopia. Purtroppo, non basta una toppa per rappezzare un abito del tutto sdrucito: ci vorrebbe un’operazione su vasta scala, di ampio respiro e con obbiettivi a lunga scadenza.
Proclamare che i vandali debbano pagare i danni che causano è solo una boutade, che rientra nella semplice normalità delle cose. Altro è ripensare la scuola, come luogo non solo d’inclusività e di accoglienza, ma anche di rispetto e di disciplina. Sissignore: disciplina. Non è mica una parolaccia la disciplina. Non è un portato del fascismo o un rigurgito totalitario: è uno dei fondamenti della convivenza civile. Da un bravo cittadino non ci si può aspettare che sia gentile, che aiuti le vecchiette ad attraversare la strada. Ma si può, anzi si deve, pretendere che non passi col rosso. E questa è disciplina. Ciò che manca nella scuola italiana, in cui i professori devono possedere ogni dote, tranne quella dell’autorità. Fanno gli infermieri e gli psicologi, gli assistenti sociali e i ragionieri: ma l’autorità, quella non è prevista. Perché mancano gli strumenti, i caratteri e, soprattutto, la volontà politica di restituire alla scuola un ruolo davvero educativo: perché permettere tutto mentre si finge di proibire ogni cosa non è educare, se non uomini-cellula, buoni per la Germania Est dei bei tempi.
In definitiva, dunque, da Valditara mi aspetto due cose: che mantenga ciò che ha annunciato (del che dubito fortemente) e che comprenda che questa è solo la punta di un iceberg colossale, cui bisognerà, prima o poi, mettere mano. Pena la nostra scomparsa civile e culturale. Amen.