LA FAVOLA DEL DOPO

di JOHNNY RONCALLI – Forse qualcuno di noi l’avrà anche pensato, se non detto. Quando si è stanchi, consumati, esasperati, si dicono di queste cose: venisse un’epidemia che obbliga tutti a stare in casa.

Questo qualcuno non avrà pensato che poi, volendo aprire la finestra per cambiare aria, si sarebbe frenato al timore di sentire il suono più molesto, una sirena che si allontana. Peggio, una che si avvicina.

E poi un giorno ci togliemmo le maschere. Accadde così, all’improvviso. Oppure forse accadde lentamente, senza rendercene conto, fino al punto in cui il velo era divenuto tanto sottile da essere ormai solo un pensiero. E non fu il solo velo che scomparve. E non tutti i veli scomparvero.

E tutto, ci accorgemmo, fu come prima. Il bello e il cattivo tempo. Il buono, il cattivo, il vile, l’impavido.

E ci accorgemmo degli uccelli. Volavano, facevano i loro versi. Ora non ricordo per filo e per segno, ma sono certo che ci rendemmo conto che non se ne erano mai andati. Per qualcuno fu un monito, a ricordare che con o senza di noi loro avrebbero continuato a volare. Con o senza di noi sarebbe stata la stessa cosa.

I più erano felici di tornare a seguirli con lo sguardo. Qualcuno, presuntuoso, credette che anche loro erano tornati a mettere il becco fuori dal nido, a volare, come se fosse stato il nostro pensiero a muovere le loro ali.

Una nuova era stava iniziando, per gli uomini, ma non c’era alcun idillio verso il quale planare. Il buono, il cattivo, il vile, l’impavido continuarono come prima.

Solo, qualcuno mise le ali, qualcuno, annoiato, ricominciò a correre.

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