LA BURLETTA DEI CONTROLLI SUL GREENPASS

di MARCO CIMMINO – La realtà e come la percepisci. Le idee preconcette ci condizionano, ci lavorano a fuoco lento e, alla fine, ci fregano. Prendiamo il caso del green pass: quella specie di carta verde sanitaria che dovrebbe garantirci libero movimento. Un sacco di gente protesta perché la vede come una lesione della libertà individuale: una sorta di lasciapassare che ha fatto rievocare a qualcuno amari coprifuoco e perfino leggi razziali e persecuzioni naziste.

Ora, a parte queste idiozie, io vorrei fare umilmente notare che il problema, semmai, è l’opposto: non si tratta tanto di essere controllati per colpa di questo benedetto green pass, quanto di non essere affatto controllati, nonostante il green pass. Perché una regola sanitaria, per quanto possa risultare invisa alla popolazione, funziona solo se viene applicata: se io impongo, chessò, una quarantena, e, poi, quelli che dovrebbero rispettarla se ne vanno a spasso come se nulla fosse, tutto l’impianto coercitivo suona un tantino di burletta. Senza contare che il contagio che si voleva arginare può dilagare indisturbato.

Ecco, mi pare che questa faccenda del green pass stia diventando una pochade, resa ancora più comica dalle proteste dei probi cittadini, indignati per le inique costrizioni, che non hanno ancora capito che siamo in Italia: il Paese del sole, dei limoni e delle asinate a ruota libera. Perché, da una parte, c’è lo Stato tonitruante, che annuncia provvedimenti draconiani, per bocca di quel povero Speranza, che mi dà sempre un po’ l’idea di quello che, a scuola, prendevano tutti per il sedere e che cerchi la sua rivincita. Dall’altra parte, ci sono i professionisti della protesta seriale, pronti a scendere in piazza contro tutto e contro tutti: gli Usa, il riscaldamento globale, il lockdown.

Quello che manca, infine, è proprio la materia del contendere: quelle limitazioni alla libertà individuale che il governo proclama, la gente rifiuta, ma che, nel mondo fenomenico, non esistono. Nel senso che sono pura immaterialità: monadi astratte. Faccio prima a farvi un esempio.

L’altra sera sono andato a cena a Bolzano-Bozen: era il compleanno di mia moglie e, come da tradizione, siamo andati a festeggiare in qualche locale sciccoso del ridente Welschbezirk. Naturalmente, data la natura del locale e la particolare ricorrenza, abbiamo telefonato per prenotare. Ci è stato subito chiesto se eravamo provvisti di green pass: Federica e io, orgogliosissimi della nostra coscienza civica, abbiamo risposto un sì, che sembrava, più che altro, uno Jawohl! Hai visto, ci siamo detti, che qui in Tirolo le regole si applicano: mica come in Italia!

Siamo arrivati con largo anticipo al ristorante (il modo migliore per mimetizzarsi, da queste parti, è cenare alle 18,30): un locale di un certo livello, a due minuti da piazza Walther. Insomma, non eravamo in una pizzeria scrausa del profondo sud: eravamo in una stube elegante a Bolzano-Bozen. Ossia, nel regno di quella realtà percepita in cui la gente rispetta le file, parcheggia negli appositi spazi ed esibisce il green pass. Invece, la realtà fenomenica è che, una volta entrati nel locale, un cameriere ci ha chiesto se avevamo il green pass e, alla nostra pronta offerta di esibirlo, si è limitato a farci accomodare. Sulla fiducia, insomma. La cena è stata ottima, d’altronde.

Solo che, tornandocene a casa, non abbiamo potuto non commentare il fatto che la sola vera differenza tra il Sud Tirolo e il Sud tout court, dal punto di vista della ristorazione post-covid, ci è parsa quella sul menu: spaghetto allo scoglio contro canederli. E tanti bei saluti al green pass.

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