ITALIA E GIAPPONE COSI’ LONTANI PER 1′ DI RITARDO

TOKYO, JAPAN

di JOHNNY RONCALLI – Londra, vent’anni fa, più o meno. Giornata turbolenta, giornata di scioperi, succede anche là. Fortunatamente il mio treno per il Galles parte regolarmente, ma non tutti hanno in programma un pernottamento e del ritorno non v’è certezza.

Salgo, prendo la mira e inquadro un sedile accanto a un finestrino. Mi siedo, lo sguardo già vaga verso le campagne inglesi e all’improvviso accade l’incredibile. Entra il controllore, ma è giornata di scioperi e oltre a verificare possesso e regolarità dei documenti di viaggio, l’austero funzionario compie qualcosa che alle nostre latitudini nemmeno sarebbe concepibile: il treno è pressoché pieno, ma lui scandaglia e passa al setaccio tutti i passeggeri, chiedendo se ed eventualmente a quale ora intendano fare ritorno nell’arco della giornata, riferendo in modo puntiglioso su quali convogli possono fare affidamento. Metodico, scrupoloso, premuroso anche, mi piace pensare: più semplicemente rispettoso della persona.

A questo episodio è corsa la mia mente alla notizia di un’inchiesta aperta in Giappone, a causa del ritardo di un minuto accumulato da un treno che stava percorrendo una delle tratte più trafficate della rete ferroviaria nipponica (Atami-Mishima).

Accumulato fa un po’ ridere in effetti, anche se si tratta di uno di quei treni definiti proiettile, per l’altissima velocità raggiunta, e anche se a ben vedere un minuto sarebbe la bellezza di sessanta secondi, seicento decimi, seimila centesimi. Qualcuno ha perso le Olimpiadi per pochi centesimi, converrebbe evitare sorrisi di circostanza e alzate di spalle.

Pare che il dipendente si sia assentato per qualche minuto – tre si dice, un’eternità – perché proprio non ce la faceva, doveva andare in bagno e pare altresì che non abbia avvertito la centrale, pensando di sbrigarsela in un batter di ciglia e sfangare un pari e patta con la tabella di marcia. E invece no, neanche al fotofinish, addirittura un minuto di ritardo, una indecorosa ignominia.

Pare, tra le altre cose, che anche dalle parti del sol levante il rispetto per la persona e ancora di più per la persona che usufruisce di un servizio sia sacro. Oltre a una certa rigidità connaturata, indubbiamente.

Il dipendente non farà hara-kiri, ma sono certo che oltre a piangere sul provvedimento disciplinare sarà oltremodo amareggiato di suo.

Ora, inevitabile, provo a immaginare quale sia la distanza che separa questi due avvenimenti dai rituali ritardi dei trasporti italiani, dal degrado dei vagoni e degli autobus, dall’assenteismo sospetto presso l’ATAC di Roma, dalla evanescenza della risposta di vari addetti quando qualche anno fa, un nevoso mercoledì di gennaio, mi ritrovai in una stazione di periferia a cercar di capire come avrei potuto ritornare a casa.

La distanza tra pianeti diversi, eccessivi gli uni, eccessivi gli altri, rispettosi gli uni, dispettosi gli altri. La differenza è che qui il ritardo di un minuto sarebbe sorprendente al contrario, talmente esiguo da rischiare l’applauso.

Comunque sia, a destinazione si arriva, minuto più minuto più.

 

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