IPOCRISIA ROSSA

Zona rossa a Ostia

di CRISTIANO GATTI – Che il popolo italiano sia lamentoso e vittimista non è una scoperta dell’epoca Covid, ma ultimamente stiamo effettivamente giocando da fuoriclasse. Basta guardarsi attorno in queste settimane di zona rossa generale, confrontando la visuale magari con quella delle settimane rosse 2020, per dover ammettere onestamente che siamo immersi in un’ipocrisia collettiva.

Ma sì, se fossimo capaci di guardarci davvero allo specchio e puntare dritti alla verità, sarebbe ben difficile passare per gente prigioniera. A dirla tutta, solo i gestori dei locali pubblici e degli alberghi hanno ancora qualche ragione per piangere, benchè l’asporto resti in molti casi una consolazione accettabile. In generale comunque sono queste le categorie davvero richiuse in zona rossa, in una vera zona rossa, con tutti i danni e le sofferenze che comporta un blocco così forte.

Ma noi. Ammettiamolo lealmente, almeno: rispetto alla primavera del 2020, questo è un carnevale. Chiedo: davvero tutti non usciamo di casa se non per necessità estreme? Sorvoliamo sui casi clinici di quelli che prenotano i bed&breakfast per allestire feste, sul politico amico di Renzi che organizza cenone in terrazza con gli amici, sugli amici nostri che tranquillamente ci invitano al ritrovo del venerdì sera, dai, non fare il difficile, siamo solo in otto, tutti di noi, eccetera eccetera. Questi sono gli egoisti di tutti i tempi e di tutte le situazioni, inutile mandare avanti ragionamenti su di loro. Sono la minoranza italiota che ha chiare per filo e per segno le regole da rispettare, e gli altri facciano il piacere di rispettarle.

Ma restiamo agli italiani normali, all’italiano medio, a tutti noi che bene o male facciamo attenzione e magari siamo ancora capaci di provare qualche senso di colpa. Riconosciamolo: non usciamo solo per fare attività motoria rigorosamente sottocasa, non usciamo solo per comprare il pane al negozio dell’angolo, non usciamo solo per correre in farmacia. Magari qualcuno non può raggiungere la seconda casa al Forte o a Sabaudia, ma può comunque salire su un comodo volo e andarsene a Formentera in cerca di consolazioni. Tutti, nel nostro piccolo, allunghiamo tempi e distanze, modi e sotterfugi, costruendoci artigianalmente una nostra vita normale, al limite ricorrendo agli espedienti tattici di farci prestare il cane dal cognato o di metterci la tuta ginnica che giaceva da decenni in fondo all’armadio, sotto quattro palle di naftalina.

In un modo o nell’altro, guardando le nostre vallate e le nostre città, la vita si presenta in una complessiva normalità. Con tanto traffico, tanto movimento, persino tanta frenesia. Come sempre. E se non è come sempre, manca davvero pochissimo. Chiamare tutto questo zona rossa, se zona rossa ha ancora un significato, è a dir poco ridicolo. Rossa è solo l’ipocrisia.

Quanto meno, dovremmo riconoscere che non è più così dura. Niente di paragonabile a un anno fa, quando non si poteva uscire, non si poteva lavorare, non si poteva camminare. Non si poteva proprio vivere. In qualche modo, all’italiana, l’Italia dei balconi è tornata a essere l’Italia delle piazze e dei marciapiedi. Una bella differenza. Purchè non si sappia in giro. Purchè non se ne parli apertamente. E nel caso, lamentarci sempre, lamentarci comunque.

Ps: volutamente sorvolo sui controlli, per non passare al genere comico.

Un pensiero su “IPOCRISIA ROSSA

  1. Fiorenzo Alessi dice:

    Egr.Dott. Cristiano GATTI,
    Nell’esposizione di quanto accade in tempo di permanente pandemia, Lei è di una precisione da raggio laser.
    Dopo la rovinosa caduta del
    Muro (quello di Berlino eh, non quello di casa dei nostrani terremotati , miserevole e sconsolante emblema di come vadano – male – le cose nel Bel Paese) manco più la bandiera c è rimasta di rossa.
    Figuriamoci le zone rosse.
    Forse, e dico forse, resistono i locali a luci rosse , ma immagino sia dura portarli ad esempio come apprezzabile rispetto delle prescrizioni antiCovid.
    Insomma, giusto per restare in tema, è proprio un bel casino.
    Ricordo , se non erro, il titolo di un film , carino e suggestivo, che recitava “IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO “.
    Ecco, se ormai siamo a confidare in una roba così, non siamo messi proprio bene.
    Cordialmente.
    Fiorenzo Alessi

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