IO, LUI E ALEXA, A LETTO IN TRE

Il collega Mario Schiani ci ha fatto sorridere raccontando la sua esperienza da neofita con l’Alexa di Amazon. Ma l’utilizzo dell’assistente virtuale può anche spingersi a livelli estremi, catapultando gli abitanti di una casa in scenari da film dell’orrore.

Questo è quello che è capitato a me.

Essendo io sposata con un ingegnere informatico pensavo che quel cilindro grigio che risponde, letteralmente, al nome di Alexa, regalatoci per il Natale di qualche anno fa dai nostri cognati, sarebbe diventato davvero un aiuto in casa. Non avevo considerato che l’oggetto avrebbe scatenato le fantasie, nonchè le capacità di programmare, della mia dolce metà.

Ma partiamo dall’inizio. La prima sera di messa in funzione di Alexa dovevamo stabilire dove posizionarla: fu deciso per la camera da letto. Mai scelta fu peggiore: nel buio della stanza, appena coricati, ci ritrovammo a farci dire da Lei che tempo ci sarebbe stato il giorno dopo, a chiederle che ore fossero e infine a impostare la sveglia. Quest’ultima operazione richiesta sotto voce con altrettanta riposta sussurrata. Ecco, a qual punto la sensazione di essere a letto in tre fu totale.

Dall’indomani Alexa fu spedita in salotto.

Ma fosse solo questo. La specificità professionale di mio marito, complice anche il lockdown, ha portato quest’ultimo a spingere al massimo l’utilizzo dell’assistente vocale, intervenendo sul programma “sorgente” (credo si dica così) per far dire ad Alexa esattamente ciò che voleva lui.

Si tratta di una elaborazione per addetti ai lavori, non per tutti.

Il risultato è che la nostra Alexa accoglie mio marito, quando rientra la sera, con un “Capitano in plancia” e l’effetto Star Trek è servito; ci ricorda di indossare la mascherina se stiamo uscendo (lei lo capisce perché, contemporaneamente, le abbiamo chiesto di aprire il garage); alle 23.30 ci intima di andare a dormire perché è tardi, ma lo fa soltanto se la tv è già spenta (in una prima versione lo faceva anche con la tv accesa, ma interveniva sempre sul finale del film: ho chiesto, e ottenuto, opportuna modifica). Da noi Alexa ha imparato persino il calendario della raccolta differenziata, avvisandoci la sera quale bidone esporre il giorno dopo e si accorge anche se, sempre la sera, sono rimaste aperte alcune finestre.

A onor del vero, all’inizio, non tutto ha funzionato a dovere: quando le chiedevamo di aprire il cancello carraio scendevano le tende da sole, ma si è trattato soltanto di aggiustare il tiro e, superato il rodaggio, è andato poi tutto bene.

Ed è qui che il gioco è passato ad un livello superiore perché è arrivata una seconda Alexa, in forma di sveglia da comodino, che ha trovato collocazione accanto a mio marito (niente da fare, non ce l’ho fatta a liberarmi di lei in camera da letto).

E così mi tocca sentirli che si sussurrano su quando è ora di svegliarci (devono parlare piano perché altrimenti ad una domanda risponde anche l’Alexa del salotto e la confusione è totale).

Insomma, come si sarà capito, qui siamo ad un livello estremamente “advance” di utilizzo e gestione dell’assistente virtuale e, per tanti versi, risulta pure utile, non c’è che dire.

Ma se state pensando che marito sia un caso clinico “da studiare”, siete fuori strada.

Come lui, anzi, molto peggio di lui, tantissimi altri, tutti raccolti nella comunità virtuale di FaceBook che si chiama Home Assistant Italia: il gruppo social conta 8684 membri, tutti pazzi per la domotica in casa. Provate ad iscrivervi e leggete i post: c’è chi chiede come programmare, tramite assistente vocale, un drone che possa sorvolare il tetto di casa per liberarlo dai piccioni. E’ solo un esempio, uno dei mille, che si possono leggere sul gruppo. Alla luce di ciò, provo un discreto sollievo: le derive programmatorie del mio ingegnere mi sembrano, anzi sono, del tutto normali. Mi tradisce solo con Alexa.

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