IO, DONNA CHE NON HA MAI L’ETA’ GIUSTA PER LAVORARE

In questi giorni di botta e risposta fra Elisabetta Franchi, l’imprenditrice della moda che preferisce assumere soltanto donne over 40, e la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, chiamata in causa a proposito delle misure messe in campo dal governo in sostegno delle madri lavoratrici e non, mi sento una inerme spettatrice.

Io non sono né un’imprenditrice, né un ministro.

Sono soltanto una delle tante migliaia di donne interessate ai discorsi delle due signore assurte agli onori della cronaca.

E tutto quello che posso fare è osservare e constatare che la verità non ha mai contorni troppo netti.

A trent’anni lavoravo, mi ero già sposata e aspettavo la mia prima figlia.

Il giorno che ho scoperto di essere incinta, proprio quello stesso giorno, mi fu offerto un altro posto di lavoro di rilevo e molto ben retribuito. Avrei potuto anche accettare e poi, soltanto dopo, dichiarare la mia condizione.

Non me la sono sentita.

Poi è arrivata la mia seconda figlia e, al ritorno in ufficio dopo la maternità, non ho più trovato la mia scrivania. Mi sono riciclata per anni, come ho potuto, accontentandomi di collaborazioni mal pagate.

In teoria, oggi, io sarei una di quelle signore over 40 preferite dalla Franchi: mi sono già spostata, le mie figlie sono ormai grandi…insomma, sarei a posto.

Ma un lavoro non lo trovo, pur, si badi, accettando anche di ricoprire posizioni molto al di sotto della mia capacità ed esperienza.

Questo perché un’azienda difficilmente investe su una risorsa che non potrà garantire, data l’età, molto tempo al suo posto.

Dirò di più: se è vero che una over 40 non ha più il problema dei figli, è altrettanto vero che non passerebbero molti anni dall’assunzione prima che si presenti l’altro grande tema di cura che, storicamente, è in capo alle donne, gli anziani.

Quindi, in teoria, la finestra di buona fruizione della risorsa femminile va dai 40 ai 50 anni, più o meno.

Prima e dopo le donne con marito e figli hanno da fare.

E qui darei la parola alla ministra Bonetti che, peraltro, ha anche spiegato cosa sta facendo il governo in proposito.

Ma è ancora poco. Non basta estendere il congedo parentale anche ai papà, aumentando il numero dei giorni a casa col piccolo. Siamo sempre nell’ordine delle giornate.

Ma un figlio ha necessità per un tempo ben più ampio, come ogni mamma certamente sa.

A ben guardare, tutta la faccenda è una sorta di coperta corta.

Non ha torto la Franchi quando dice che in un posto di responsabilità serve qualcuno che sia disponibile e non debba assentarsi; d’altro canto la maternità, oltre che una formidabile chance concessa, a livello fisico, soltanto alle donne, è anche un diritto di entrambi i genitori, e deve essere meglio tutelata di quanto non lo sia attualmente.

Forse non ci sono facili soluzioni, e certamente io non le ho belle e pronte.

Mi limito soltanto a due osservazioni: assumere una donna giovane con figli ancora piccoli significa, certo, per un imprenditore mettere in conto le potenziali assenze dovute alle necessità dei bambini, ma significa anche avere nel proprio organico un elemento, la donna/mamma, che, proprio perché tale, ha sviluppato una capacità di organizzarsi molto elevata. Una capacità che, messa al servizio della propria funzione in azienda, può rivelarsi preziosa.

Inoltre l’impegno del governo in sostegno delle madri lavoratrici dovrebbe essere incrementato, contemplando anche un maggiore sostegno agli imprenditori illuminati che decidano di investire in asili nido aziendali, un passaggio che permetterebbe alla risorsa mamma di continuare a prestare la propria opera.

 

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