IN QATAR TROVANO TUTTI LA LORO COREA, ANCHE GLI OPINIONISTI

Ci ha provato in tutti i modi anche la Corea a sorprendere l’esperto, ambizioso Uruguay, caricato come una pipa da vecchi e giovani in una squadra da sogno, che invece ha sbattuto il muso contro i sudasiatici in uno 0-0 che questi ultimi hanno cercato di scardinare assai più di Suarez, Cavani e compagnia celeste.

Quindi si archivia anche questa sfida a sorpresa senza reti, affiancandola nei faldoni agli altri inattesi pareggi tra Danimarca e Tunisia, Marocco e Croazia e quello un po’ meno eclatante tra Usa e Galles.

Ma i colpi di scena, come forse sapete bene, sono stati altri: i tonfi sonori dell’Argentina al cospetto dell’Arabia Saudita e quello della Germania contro il Giappone. Ancor più sorprendente, però, è la sequela delle spiegazioni lette e ascoltate qua e là, tra giornali e televisioni, tra opinionisti e soloni, cabarettisti ed ex tesserati.

Dunque nell’ordine i motivi tecnico-scientifici delle difficoltà delle squadre più forti sono: il clima, la stagione insolita dei Mondiali, i campionati (assai più difficili quello tedesco e argentino rispetto al nipponico e all’arabo) interrotti in fretta e furia o nemmeno cominciati come appunto quello sudamericano, la preparazione. Dulcis in fundo, la lunghezza delle partite: giuro che ho sentito anche questa.

Accade infatti che con un colpo di mano tipico della casta Fifa e in assenza ormai di quel salvifico International Board che stabiliva e decideva i cambiamenti nelle regole, gli arbitri in questo Mondiale in Qatar accordino recuperi lunghissimi: 7, 8, 9 minuti anche per tempo. Quindi si sta in campo 100 minuti e passa.

Ho scritto “si sta in campo” e non “si gioca”, perché questa improvvisa tendenza – mai annunciata – tende proprio a mettere insieme un maggiore durata del gioco, viste le infinite perdite di tempo cui ci stanno abituando calciatori, allenatori e arbitri a tutte le latitudini.

Insomma, poverini, i big non sono abituati a stancarsi così, ma cosa c’entri con sconfitte arrivate ben prima dei recuperi, francamente lo ignoro.

Forse alla fine il discorso più sensato è quello del più integralista tra gli scienziati del calcio, Arrigo Sacchi: “Al Mondiale non vince sempre chi è più forte (…) perché se non hai spirito di squadra e se non hai un gioco, non vai da nessuna parte (…). La partita dell’Argentina è stata il festival della presunzione: dopo l’1-0 pensavano di tirare a campare, forse consideravano l’Arabia Saudita troppo debole (…). La Germania che aveva giocato benissimo il primo tempo, appena ha abbassato il ritmo è stata punita (…). Le qualità che contano a un Mondiale sono la generosità, la determinazione, l’umiltà (…)”.

Quest’ultima servirebbe anche a tutti noi che commentiamo. E a grandi dosi, anche.

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