IN GINOCCHIO DAVANTI A UN DUBBIO

di LUCA SERAFINI – Vorrei solo capire una cosa, che sinceramente mi sfugge: ma a noi interessa davvero quello che dicono pensano e fanno i calciatori, gli sportivi, se non è inerente al loro mestiere? Oppure non ci interessa affatto? Ha un peso rilevante nell’opinione pubblica o lascia tutti indifferenti? Insomma, sono influencer se fanno o dicono quello che piace(rebbe) a noi che facessero e dicessero, o altrimenti non gliene frega niente a nessuno?

Perché se un calciatore o uno sportivo fa beneficenza lo fa per propaganda e comunque “con tutto quello che guadagna…”, è una specie di obbligo. Se un calciatore o uno sportivo si esprime sulla politica, sul razzismo, sull’omosessualità, sui vaccini, è giusto stare ad ascoltarlo oppure – che cacchio ne sa lui? – è meglio che si occupi dei suoi palloni o delle sue racchette?

Aiutatemi, perché dopo Italia-Galles agli Europei di calcio ho le idee ancora più confuse. Mentre per alcuni è solo una moda quella di inginocchiarsi alla Lewis Hamilton ai Gran Premi, in solidarietà al movimento “Black lives matter” (La vita dei neri conta) nato dopo l’omicidio di George Floyd a causa di un poliziotto che, appunto inginocchiato sul suo collo, lo ha soffocato, be’, per altri invece quel gesto è la bandiera della rivendicazione assoluta dopo secoli di schiavismo e discriminazione dei neri.

Il fatto è che prima del fischio d’inizio della partita, mentre tutto il Galles era inginocchiato, solo 5 azzurri su 11 lo hanno fatto. Gli altri 6 in piedi applaudivano. Cosa significa? Che sono razzisti? Che per loro la vita dei neri non conta? Che non gliene frega un accidente o addirittura ancora non hanno capito bene cosa si inginocchiano a fare quegli altri? Perché, diciamocelo, sul quoziente intellettivo e/o culturale dei calciatori e degli sportivi ironizzano in tanti. Insomma, vale più un applauso, un inginocchiamento o al limite quel minuto di silenzio per chi spesso non sanno nemmeno chi sia morto? Non lo conoscevano. Giampiero Boniperti, tanto per dirne uno.

Gli abbiamo insegnato a cantare a squarciagola “Siam pronti alla morte” prima delle partite, poiché era uno scandalo che le nostre Nazionali non sapessero le parole dell’inno di Mameli. Nonostante in questo Paese nessuno sappia chi è Mameli né che cosa sia l’elmo di Scipio. Fa niente, basta cantare davanti alle telecamere, come sui balconi durane il lockdown perché “andrà tutto bene”. Fa niente.

Riusciremo a farli anche inginocchiare: è la moda che lo vuole, è Letta che si indigna dalla Gruber e lo pretende mentre quel Pilato di Gravina (presidente FIGC) se ne lava (posso dire giustamente?) le mani: “Ognuno è libero di fare ciò che vuole, noi non imponiamo niente a nessuno”.

Quindi, in concreto, al di là di che cosa pensiate voi o pensiamo noi di quei 6 che non si sono inginocchiati prima di Italia-Galles, qualcuno è disposto a venirmi in aiuto per risolvere il dubbio? Che è quello esposto all’inizio: ci interessa davvero, quello che dicono pensano fanno i calciatori se riguarda il sociale? Non è sufficiente, per capire quanto poco ce ne freghi o freghi a loro stessi, che sono gli stessi a baciare la maglia mentre firmano il contratto con quella nuova?

Personalmente nel calcio e nello sport ho incontrato, intervistato e conosciuto numeri uno che si sono distinti con quel numero anche nella vita. Privata e pubblica. Quindi sì, mi interessa quello che mi hanno detto e poi quello che fanno. Numeri uno, però: più sotto non è mai molto interessante scendere, se si tratta di fare la morale. Ma è soltanto una mia modestissima idea.

5 pensieri su “IN GINOCCHIO DAVANTI A UN DUBBIO

  1. Yerle Shannara dice:

    La moda non c’entra nulla, così come non c’entra nulla l’assassinio di Floyd con in gesto (altamente simbolico) dell’inginocchiarsi su un campo da gioco, che invece nasce nel 2016 all’inizio di un incontro di NFL.
    Poche idee e abbastanza confuse.

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