di ALBERTO VITO (sociologo e psicologo) – L’emergenza Covid, tra i tanti temi evidenziati, ha posto quello per niente secondario dell’assistenza psicologica agli operatori sanitari, con una centralità mai avuta in passato. Tale categoria, infatti, è tra quelle che subiscono un carico emotivo assai elevato con forti quote di stress. Basti pensare al rischio concreto di contagio, al superlavoro in situazioni a volte di sotto organico, al contatto con la sofferenza e la morte di alcuni pazienti. Facile immaginare.
In molti ospedali sono nati servizi di ascolto psicologico dedicati agli operatori sanitari per prevenire l’insorgenza di disturbi legati all’esposizione a situazioni stressanti. Anche io, nel mio piccolo, ho dato la disponibilità all’ascolto dei colleghi.
Tuttavia, mi accorgo che tali iniziative (meritorie ed utili, sia ben chiaro), rischiano di costituire una risposta abbastanza inadeguata. Paradossalmente, possono risultare perfino dannose laddove si desse una lettura del disagio dell’operatore da attribuire esclusivamente alle sue caratteristiche individuali.
Mi sono dunque chiesto: di cosa hanno bisogno i miei colleghi? Di cosa abbiamo bisogno noi? Cosa davvero ci fa star male? E cosa ci dà benessere?
Sono consapevole che il discorso è molto complesso. Affrontare le dinamiche organizzative significa entrare nel merito di scelte politiche, sindacali, economiche con cui in apparenza la psicologia c’entra poco. Tuttavia, proprio da psicologo sento limitata la risposta in termini esclusivamente di aiuto individuale. Occorre un pensiero sistemico. Occorre dare importanza alla disciplina che studia temi quali il benessere, la motivazione, le dinamiche relazionali.
Andrebbe riconosciuto che, come in medicina, anche in psicologia la prevenzione è sempre più importante.
Dunque, di cosa abbiamo bisogno noi, operatori sanitari?
Dal mio punto di vista, abbiamo bisogno innanzitutto di essere rispettati. Ovviamente, il rispetto altrui si crea con il proprio rispetto verso gli altri. I medici e gli infermieri giustamente rifiutano una narrazione che li vede come “eroi”, affermando di fare esclusivamente il proprio dovere, ma è indubbio che gli attestati di stima e di sostegno fanno bene, così come gli attacchi generalizzati (provenienti perfino da chi dovrebbe difenderci) fanno male.
Ma rispetto significa anche valorizzazione. Non parlo di maggiori assunzioni, di riconoscimenti in premi, non in quanto poco importanti, ma perché non è il mio ruolo. Valorizzazione significa rendere partecipi, favorire la motivazione, riconoscere le competenze, sostenere laddove vi sia una difficoltà. Abbiamo bisogno di chiarezza e di informazioni condivise. Non propongo certo l’assemblearismo, ma è importante evitare la sensazione che le decisioni riguardanti il nostro lavoro siano prese troppo lontano da noi. Abbiamo bisogno di essere ascoltati e di ascoltare le ragioni di chi decide. Altrimenti, il rischio di sentirci in trincea, mandati allo sbaraglio, è troppo alto.
Il senso di appartenenza e il gioco di squadra non si creano in pochi giorni e sono frutto di frequentazioni proficue che durano nel tempo. Consolidiamo relazioni solide tra gli operatori, diamo importanza al benessere e al clima organizzativo. Anche questo significa tutelare gli operatori sanitari.
A ben vedere, mi accorgo come gli operatori sanitari abbiamo bisogno esattamente di ciò che serve a tutti: rispetto, stima, chiarezza, lealtà, onestà, riconoscimento delle competenze. E’ troppo?