di GHERARDO MAGRI – Quel mago finanziario di Marchionne sorriderà di gusto, ovunque egli sia. L’azienda che lui ha salvato da un crepuscolo molto fosco, se non da un probabile fallimento – la Fabbrica Italiana Automobili Torino -, rilevando a costo zero e fondendosi con l’altra grande malata americana – la Chrysler -, rinasce come Stellantis. Un nome suggestivo, che significa “illuminato di stelle”, il quarto produttore di automobili al mondo con quasi 8 milioni di vetture, dietro Volkswagen eToyota (molto vicine tra loro) e Nissan Renault.
Il matrimonio tra FCA e i francesi di PSA (Peugeot e Citroen i marchi più noti) è stato avallato dai rispettivi consigli di amministrazione. Presidente John Elkann e Carlos Tavares ceo per cinque anni, uguale numero di consiglieri scelti dalle rispettive aziende. Un colosso da 180 miliardi di fatturato e 400.000 dipendenti, 15 marchi in portafoglio, sede in Olanda. Maggior azionista Exxor con il 14.4%, la cassaforte degli Agnelli. Sulla carta, l’equilibrio è perfetto e l’intesa sembra molto buona, dopo il lavoro duro degli sherpa che hanno spianato la strada in mezzo a mille cavilli.
Da cenerentola a principe azzurro. Una trasformazione che ha dell’incredibile. Soprattutto per noi italiani che non ci credevano quasi più. Troppi tentativi per rilanciare il gruppo Fiat, tutti andati a vuoto. Poi, arriva Sergio, il genio abruzzese-canadese, che non ci capisce molto di macchine, ma di finanza eccome. Compie il miracolo con creatività e autorevolezza: intuisce che due zoppi messi insieme possono tornare a correre e si fa ringraziare pubblicamente da Obama per il salvataggio di una delle “big four” americane. Non mi vengono in mente tanti altri italiani capaci di resuscitare multinazionali agonizzanti a zero investimenti.
Adesso, Stellantis è lì che si batterà con i veri grandi player mondiali ad armi pari. Al netto delle relazioni italo-francesi, che nella storia hanno avuto andamenti altalenanti, vorrei esprimere due desideri da consumatore italiano e da manager al neo nominato Carlos, il portoghese.
Il primo. Riprendiamoci in mano il mercato italiano. Nella forte spinta all’internazionalizzazione, che ha visto protagonista il marchio Jeep in diversi continenti, si sono trascurati un po’ il gusto e le necessità di un pubblico più esigente: quello europeo e quello italiano in particolare. Grande presenza nei segmenti delle city car, utilitarie e cross-over, ma grande assenza sui segmenti centrali e le berline di lusso. Stiamo ancora rimpiangendo l’Alfa 164 e la Lancia Thema, mai rimpiazzate degnamente. E la deriva su modelli tedeschi e stranieri è quasi irreversibile. Il marchio Fiat è stato molto sostenuto, ma l’italiano vuole anche un’Alfa sportiveggiante e una Lancia di alta gamma. Concentriamoci su queste fette di mercato e rispolveriamo le glorie dei due marchi prestigiosi. Perchè no.
Il secondo. Ritorniamo a fare auto belle. Noi siamo italiani. Famosi in tutto il mondo per il design, da sempre ci invidiano gli stilisti, gli architetti e i direttori creativi. L’unico settore in cui ci siamo addormentati è l’auto, soprattutto nei modelli più venduti. Con le grandi eccezioni di Ferrari, Maserati, Lamborghini e Bugatti, ovviamente. E ci mettiamo anche la 500, piccola icona di fascino e di bellezza. Dobbiamo fare di più sul resto della gamma. Qui è necessario un colpo d’ala e una strategia visionaria: Stellantis deve rimettere al centro la bellezza, la grande bellezza, tipicamente italiana.
Nient’altro, per il momento. Solo grandi sogni di un nuovo primato del gusto italiano. Sempre che l’Italia abbia ancora voce in capitolo. Intanto, è l’addio definitivo a una gloria passata: della Fiat non sopravvive più niente. Neppure la misera F dell’ultimo marchio FCA.