IL TRIONFO DI AMADEUS, IL GUSTO DEI TEMPI

Basta discussioni, parlano i numeri. A quanto pare questo Sanremo piace una cifra. Meglio che cinici, scettici, disfattisti accettino la sconfitta e se ne facciano una ragione. Trionfa la formula Amadeus. Come tutti quelli che non hanno un’idea, il nuovo Pippobaudo sceglie di usare qualsiasi idea e di buttarla dentro nella centrifuga. Lui sta sulla porta, appoggiato allo stipite, affacciato sul corso: chiunque passi con un minimo di qualcosa, lo invita ad entrare, se serve anche pregandolo in ginocchio.

Così, nemmeno stavolta, tanto meno stavolta, Sanremo è il Festival della canzone (via, piantiamola di raccontarci questa fesseria): c’è posto e spazio per tutti e tutto, gay, etero, transgender, sport, razzismo, mafie, satira, cabaret, voci da vinile e voci da talent, moda, tipi fini, strappone, nudi, castità, ideali, pagliacciate, poesia, volgarità, vecchissimi che non riescono a invecchiare e giovanissimi che non riescono a crescere.

Metterci tutto per arrivare a tutti, dal neonato al bisnonno rinchiuso in Rsa, questa la vera formula Amadeus. Sanremo tutto e niente, Sanremo pieno e vuoto. E che almeno lui si risparmi lo stress intellettuale di cercare parole profonde nelle conferenze stampa per spiegare la sua alchimia. La sua alchimia non è un’alchimia: è un perfetto minestrone che prima o poi intercetta qualunque palato. E difatti lo spettatore non è mai contento in generale: prende il suo e scarta tutto il resto, dicendone di tutti i colori. Il vecchio dice peste e corna del giovinastro stralunato con la ferramenta alle orecchie e il petto tatuato, il giovane dice peste e corna delle carni rilasciate e delle voci neomelodiche dei babbioni alla Morandi e alla Zanicchi. Ma ciascuno ha quanto gli spetta, basta stare lì per ore e prima o poi il proprio target viene centrato.

Inutile stare qui a dire chi ha ragione: a Sanremo devono avere tutti ragione e nessuno deve avere torto. Questo il segreto. Poi decide lo share, e fine dei discorsi: share alto grande Sanremo, share basso brutto Sanremo. Altro che critica: i critici guardano il risultato, come certi osservatori del calcio, e poi fanno le pagelle. Anche loro personalità forti.

Certo i numeri non dovrebbero impedirci di dire che per sentire una canzone decente bisogna aspettare l’ospite esterno, che Achille Lauro ha veramente rotto l’anima con le sue trasgressioni della mutua, che in generale questi ragazzini non sono di rottura come vogliono sempre sembrare, perchè sono già omologati nel volersi porre tutti come diversi, basta guardare solo ai nomi, ce ne fosse uno che ormai si presenta fiero con il suo Ernesto Rossi.

Qualcosa cioè si potrebbe e di dovrebbe dire a prescindere dall’audience, fissandoci sul livello generale, al di sopra e al di là del singolo ingrediente.

Su questo, però, le chiacchiere stanno subito a zero. A forza di smantellare la scuola, o di stravolgerla inseguendo chissà quali “standard europei”, la nostra cultura non riesce più a produrre un gusto adeguato, qualcosa in linea con il famoso gusto italiano, ben diverso e ben più sofisticato del gusto grossolano di certe culture straniere. Il gusto non è un’entità rigida e immutabile, è volatile come i titoli in Borsa, c’è tutta una scala di valori, varia dal pessimo gusto al buongusto. In questa epoca, il gusto è sospeso dalle contrattazioni per eccesso di ribasso.

E allora. Ogni tempo ha la sua estetica, noi, oggi, abbiamo questa. Se ci sembra che anche solo le stagioni dei Sanremo con Lucio Dalla e Vasco Rossi, Mia Martini e Laura Pausini, fossero oggettivamente più elevate, nei modi diversi, dobbiamo sapere che magari sbagliamo noi, e che comunque non possiamo pretendere nulla: questi sono i tempi, questo è il gusto dei tempi. Se il gusto scende là fuori, non può non scendere proprio a Sanremo. Non è solo questione dei tempi che cambiano: i tempi possono cambiare anche in meglio, ogni tanto. Però non è questo il caso.

2 pensieri su “IL TRIONFO DI AMADEUS, IL GUSTO DEI TEMPI

  1. Angelo dice:

    Carissimo Cristiano Gatti, dalla metà del ‘500 fino alla fine del ‘700, il gusto italiano musicale era il più ammirato e studiato d’Europa. I maestri italiani erano richiesti nelle corti non solo nostre ma soprattutto all’estero. Da Lisbona a Mosca. Musicisti di fama, Bach, Handel, Mozart studiavano copiando le musiche dei nostri maestri, quando non viaggiavano nella penisola per conoscere di persona questi autori. Il gusto italiano, raffinato, ricercato, sempre in evoluzione era il faro di riferimento. Peccato che di tutta questa musica si conosca così poco, specialmente in Italia.

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