IL TERRORE DI MANGIARE GLIFOSATO

di PAOLO CARUSO (agronomo) – Il documentario “Gluten, l’ennemi public?” realizzato splendidamente da Patrizia Marani, disponibile sul sito di ARTE (https://www.arte.tv/it/ videos/090077-000-A/ glutine-il-nuovo- nemico-pubblico/), disponibile in rete fino al prossimo 12 maggio, messo anche in onda su diverse televisioni di stato, ha destato un notevole interesse in tutta Europa, alimentando il dibattito sulle correlazioni tra alimentazione e salute.

L’opera, prendendo spunto dal ruolo del frumento nella nostra dieta, narra in realtà della diversa visione che si ha del cibo, a livello produttivo, industriale e tra i consumatori.

Una parte rilevante del lavoro è stato dedicato all’influenza che le diverse zone di coltivazione del grano hanno sulla nostra salute. Di solito siamo abituati a vedere distese di frumento di colore giallo, baciate dal sole, unico elemento in grado di consentire la maturazione in modo naturale. Purtroppo, questa realtà è stata recentemente ribaltata; grazie ad artifici chimici, nello specifico l’utilizzo di un principio chimico noto con il nome di Glifosato, la coltivazione del grano è possibile anche in Paesi del mondo in cui il clima umido la fa da padrone.

Lo schema è molto semplice: nel periodo che precede la raccolta, considerata l’impossibilità di far maturare le spighe naturalmente, si interviene con il glifosato, un disseccante in grado di rendere possibile questa fase del ciclo colturale.

Il Glifosato (N-fosfonometil glicina), è stato per la prima volta sintetizzato in laboratorio negli anni Cinquanta nei laboratori della Cilag. Vent’anni dopo, nei laboratori della Monsanto, grande gruppo chimico USA di recente acquistato dalla tedesca Bayer, è stata scoperta la sua azione come erbicida ad ampio spettro che lo ha portato ad essere il principale principio attivo di molti erbicidi generici.

E’ stato introdotto in agricoltura negli anni Settanta del secolo scorso dalla Monsanto con il nome commerciale di Roundup. Ha avuto una grande diffusione perché alcune coltivazioni geneticamente modificate sono in grado di resistergli: distribuendo il Glifosato sui campi si elimina ogni pianta, infestante o non, tranne quella resistente che si desidera coltivare.

Attualmente è l’erbicida più diffuso al mondo.

Ma l’impiego del Glifosato trascende dalla sua destinazione originaria di erbicida e viene, lì dove permesso, impiegato come disseccante di colture altrimenti impossibilitate a maturare. La sua presenza, oltre che nel frumento, si riscontra anche in moltissime leguminose quali lenticchie, ceci, fagioli, etc.

Recenti analisi di laboratorio ne hanno segnalato la presenza anche nelle principali marche di birra tedesca.

In Italia il glifosato si può usare, ma con molte limitazioni. Il suo impiego è espressamente vietato per favorire il disseccamento di colture come il frumento, ma nessuna norma impedisce l’importazione di alimenti o materie prime che ne includono la presenza.

Il Canada, paese in cui si utilizza ampiamente il Glifosato per la maturazione del grano, è il primo fornitore di grano duro per l’industria alimentare italiana. Si calcola che il 30/35 % del grano che consumiamo sia importato.

Ad aprile 2016 sono stati resi noti i risultati della presenza del glifosato nel cibo commercializzato in Italia attraverso il test della rivista “Salvagente” effettuato su 50 prodotti circa: tracce del discusso erbicida sono state riscontrate su farine, biscotti, pasta, fette biscottate e corn flakes.

Il mondo della ricerca e delle istituzioni preposte al controllo non si è mai espresso in maniera univoca sulla tossicità di questo composto chimico: nel 2017, il “Guardian” ha scoperto che molte parti del rapporto dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) per la valutazione dei rischi dell’uso del glifosato, erano state esattamente copiate dalle richieste di rinnovo dell’autorizzazione da parte delle aziende che lo producono.

Gli stessi “Monsanto Papers” hanno rivelato la corruzione di scienziati e giornalisti per la realizzazione di studi negazionisti sui danni del glifosato.

La prima dichiarazione di un Ente pubblico sulla tossicità del glifosato porta la data del 1993, quando l’EPA statunitense classificò il glifosato come gruppo E, evidenziando la mancanza di prove per la cancerogenicità nei confronti dell’uomo.

Tuttavia da quel momento, ulteriori studi, i cui risultati sono inclusi nella Monografia 112 sul glifosato dell’Agenzia per la ricerca sul cancro (IARC), pubblicata il 29 luglio 2015, hanno convenuto sulla cancerogenicità del glifosato e hanno portato alla sua inclusione nel gruppo 2A (probabilmente cancerogena per l’uomo).

L’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha invece espresso un giudizio più accomodante, ma le sue valutazioni appaiono oggettivamente troppo simili a quelle fornite dalla ditta produttrice.

Nel documentario appare anche Stephanie Seneff, scienziata del Massachusetts Institute of Technology, una delle massime autorità mondiali per lo studio di questa problematica.

La scienziata ha pubblicato la più completa review sulle correlazioni tra impiego di glifosato e malattie cronico-degenerative dell’uomo. I risultati di questa ricerca evidenziano una strettissima relazione tra l’incremento dell’utilizzo del glifosato nel ventennio tra il 1990 e il 2010 e patologie come la celiachia, l’autismo, il cancro della tiroide, il diabete, la demenza senile, etc.

La ricercatrice ha ipotizzato che il meccanismo che lega il glifosato alle patologie risiede nella capacità che ha quest’ultimo di agire come un omologo dell’aminoacido che codifica la glicina, penetrando nella proteina e di fatto sostituendolo. Questo meccanismo provoca un accumulo di questa sostanza in tutto l’organismo, provocando fenomeni di tossicità e diverse disfunzioni.

Per contenere gli effetti di questa dirompente notizia e consentire all’industria alimentare di continuare a utilizzare grano importato (di solito a prezzi ultra competitivi), le autorità hanno innalzato i limiti di residuo del principio attivo presenti nei cereali, portandoli a valori 100/200 volte superiori a quelli consentiti per le verdure.

L’AIRC ha classificato il glifosato come probabile cancerogeno e secondo questa indicazione si dovrebbe procedere al divieto assoluto di utilizzo, indipendentemente da ogni limite di tolleranza.

Per evitare allarmi ingiustificati, in mancanza di indicazioni scientifiche univoche, occorrerebbe semplicemente rifarsi al principio di precauzione che è citato nell’articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (UE), che recita: “… nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione completa del rischio, il ricorso a questo principio consente, ad esempio, di impedire la distribuzione dei prodotti che possano essere pericolosi ovvero di ritirare tali prodotti dal mercato”.

Buon senso e precauzione. Non si muore (o ci si ammala) di solo Covid.

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