IL REDDITO DI CITTADINANZA AFFOSSA L’AGRICOLTURA

di PAOLO CARUSO  (agronomo) – Una analisi della Coldiretti, sulla base delle iscrizioni al registro delle Imprese di Unioncamere relative al settembre 2020, evidenzia un dato in netta controtendenza rispetto all’andamento generale nel disgraziato 2020 del Covid, ovvero uno storico aumento del 14% del numero di Under 35 che scelgono l’imprenditoria agricola come professione per il proprio futuro.

Questo incremento, si legge nel rapporto, bilancia l’abbandono delle attività produttive legate a settori come l’industria e il commercio rispetto a cinque anni fa.

Questa notizia fa il paio con il dato che emerge dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Reale Mutua dedicato all’agricoltura, che evidenzia come, in molte regioni d’Italia, un abitante su tre vede nell’agricoltura un interessante ambito di lavoro, un settore ampio e diversificato in cui sviluppare competenze e crescere professionalmente.

E’ un dato molto importante in una congiuntura complessa per l’Italia in generale e per l’agroalimentare in particolare. A causa degli effetti della pandemia di Covid-19, molti intravedono nell’agricoltura un’attività capace di dare soddisfazioni e la possibilità di trasformare una passione in una professione.

L’analisi della Coldiretti conferma che la presenza dei giovani sta rivoluzionando il settore agricolo, infatti il 70% delle imprese under 35 operano in attività multifunzionali che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche alle attività ricreative, dall’agribenessere alla cura del paesaggio fino alla produzione di energie rinnovabili.

La vera e per certi aspetti incoraggiante novità è fornita dagli agricoltori di prima generazione, ovvero gli under 35 arrivati da altri settori o da diverse esperienze familiari che hanno deciso di scommettere sulla campagna con estro, passione, innovazione e professionalità.

Questa inversione di tendenza tenta di bilanciare, non riuscendoci comunque, la riduzione in termini di forza lavoro registratasi con l’approvazione della normativa sul “Reddito di Cittadinanza”, i cui effetti hanno danneggiato alcuni settori economici che erano soliti attingere manodopera proprio dalle stesse categorie beneficiarie della misura.

Il comparto agricolo è sempre stato molto sensibile alle variazioni in tema di mercato del lavoro e welfare. Il settore primario ha sempre assorbito le forze lavoro esuberanti alle altre attività produttive, dando sollievo a quegli imprenditori agricoli che necessitavano soprattutto di forza lavoro non specializzata.

Oggi la maggior parte dei giovani che iniziano ad occuparsi di agricoltura si cimenta soprattutto in attività collaterali, importantissime, ma che spesso non riguardano attività manuali vere e proprie.

La trasformazione delle materie prime, il marketing, l’e-commerce, sono mansioni decisive per attivare canali di vendita alternativi e remunerativi per gli agricoltori, ma non sono succedanee delle attività manuali. La carenza di raccoglitori, innestatori, potatori, mungitori, etc., ovvero le attività più faticose, impedisce una idonea programmazione e spesso compromette l’esito stesso della produzione, costringendo gli imprenditori o a far ricorso a manodopera in nero o ad arrangiarsi alla meno peggio.

La concessione del reddito di cittadinanza, così come è stata ideata, non ha certamente aiutato il settore agricolo, creando un deficit di manodopera prima sconosciuto, che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa di tutto il comparto.

Se a questo sommiamo alcune politiche commerciali sconsiderate, che mettono in concorrenza prodotti realizzati in Paesi con costi di produzione imparagonabili ai nostri, che riducono al lumicino la possibilità di ottenere una dignitosa remunerazione del lavoro, ci troviamo di fronte ad un panorama fosco che, probabilmente, decreterà l’insuccesso di molte di queste neoimprese agricole. Ovviamente le analisi sono sempre più facili da realizzare rispetto alle terapie e alle strategie di sviluppo, che però non possono prescindere dall’ammodernamento delle strutture produttive, dalla valorizzazione delle produzioni di qualità, che nel nostro Paese non difettano, e da un’iniziativa politica che favorisca, in tutti i modi, l’acquisto e il consumo delle produzioni locali.

Non si tratta di ottuso sovranismo alimentare, ma di una necessaria presa di posizione che restituisca vitalità e valenza economica ad un settore dalla cui sopravvivenza dipende la nostra salute, il mantenimento e la salvaguardia ambientale e un buon livello di autosufficienza produttiva.

Certamente l’entusiasmo e la passione dei giovani che si affacciano ad una nuova realtà produttiva sono necessari e vanno incoraggiati, ma occorre fare i conti con un sano pragmatismo, necessario per evitare bruschi risvegli.

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