RAGGIUNTO IL PICCO DELLA SUPERCAZZOLA SANITARIA

Dopo quasi due anni di epidemia, tutti o quasi abbiamo imparato a muoverci in questa davvero singolare e drammatica parentesi della nostra vita. Abbiamo imparato quali sono le precauzioni fondamentali per (cercare di) non infettarci, quali sono i sintomi tipici della malattia e abbiamo appreso anche come risulti ogni giorno sempre più evidente la necessità di completare il ciclo vaccinale.

Gli elementi di base, insomma, li abbiamo. Quel che complica la nostra esistenza, credo, è il linguaggio applicato all’epidemia e in particolare il linguaggio applicato alla burocrazia germogliata attorno all’epidemia medesima. Un linguaggio inteso a spiegare le norme via via emanate che tuttavia con il procedere delle settimane e dei mesi si fa sempre più intricato e ambiguo. Qualche volta ci capita perfino di sorprenderlo in violazione alla proprietà transitiva: il Green pass è uguale al Green pass rafforzato ma qualche volta è diverso.

Allo scopo di chiarirmi le idee ho pensato di telefonare alla locale Ats e di porre qualche domanda da semplice cittadino. Certo, tutte le informazioni dovrebbero essere disponibili sui siti istituzionali, da quelli del governo e della Regione in giù, ma vuoi mettere la comunicazione che si può stabilire, sia pure via telefono, con un essere umano? A voce, le persone sono costrette a ricorrere al “loro” linguaggio, e non al classico “burocratese” delle norme pubblicate online con il “copia-incolla”.

Al telefono, dunque: e con piena fiducia.

Innanzitutto, devo smentire il pregiudizio che gli impiegati degli uffici pubblici non rispondono mai. Due squilli, ed ecco una voce robusta all’altro capo:

“Tarapia tapioco?”

“Come dice?”

“Prematurata la supercazzola o scherziamo?”

“Non scherzo… è solo che non capisco…”

“Dicevo: lei chi è?”

“Ah, ecco. Sono un cittadino. Volevo solo qualche informazione…”

“Favorisca la sbiriguda della sbrinzellona”.

“Prego?”

“Il numero della tessera sanitaria”.

Snocciolo il numero della tessera e insisto: “Chiamavo per qualche informazione circa la quarantena. Mettiamo che io sia venuto a contatto con un positivo…”

“Quarantena, sorveglianza attiva o isolamento: dei tre quale col prefisso?”

“Il prefisso?”

“Sì quello con monitoraggio a destra, altrimenti come faccio a risponderle?”

“Non saprei, la mia era una domanda ipotetica.”

“Ah, ho capito. Senta, scusi: supponiamo che voi siate in quattro, come se fosse quarantena anche per lei soltanto in due oppure in quattro con contatto stretto? E test antigenico, per esempio”.

“Ecco, appunto: i test. Lei diceva antigenico…”

“Oppure molecolare con occhiello di privilegio come fosse antani anche per lei”.

“Mi permetta, questo punto non è chiaro…

“Ma è chiarissimo invece! E perdura come salivare, vede?”

“Non vedo affatto, temo. Senta, ci sarebbe un ufficio dove recarmi di persona?”

“No, no! E altrimenti posterdati con hub vaccinale per due un pochino antani in Prefettura.”

“Prefettura? Ma credevo che per le competenze sanitarie…”

“Allora io le potrei dire, con il rispetto per il cittadino, che anche soltanto le due cose come vicesindaco…”

“Vicesindaco? In Comune intende?”

“Come vuole. Intanto trini la confraternita con variante Beta”.

Questa conversazione, confesserò, mi ha lasciato un poco confuso. Non rassegnato però: tanto che ho deciso di recarmi di persona agli uffici dell’Azienda, non prima di essermi opportunamente mascherato con Ffp2

La coda, nell’ufficio, è lunga ma non lunghissima. Soprattutto è ben distanziata. Non vedo l’ora di avere con l’addetto un colloquio viso a viso, sia pure mediato da una lastra di plexiglas.

“Antipodi!”, mi saluta con cordialità l’addetto.

“Antipodi a lei”, replico: “Non vorrei farle perdere tempo. Sono venuto a chiedere qualche delucidazione sulle quarantene in caso di contatto con positivo. Quanti giorni sono prescritti per un vaccinato con tre dosi?”

“Quintana.”

“Come?”

“O setta. Dipende se va su o giù, giù o su. Capisce?”

“Ma… in che senso?”

“Nel senso anafestico…”

Incomincio a temere che questa sortita finirà per aumentare la mia confusione e non per diradarla, quando il portiere che poco prima mi ha accolto all’ingresso si avvicina puntando un indice.

“E’ sua la Omicron parcheggiata qui fuori?”

“No, io sono venuto a piedi…”

Un mormorio percorre la coda alle mie spalle. “Eh già”, sibila una signora d’età, la borsa stretta al petto. “Se oggi non hanno la Omicron non sono contenti. Fino a ieri tutti in giro con la Delta”.

“Che fine faranno tutte quelle povere Delta, poi?”, rincalza un pensionato in coppola. “Capaci, questi giovinastri, di abbandonarle lungo la strada”.

Faccio notare che, a quasi sessant’anni, è difficile che io possa rispondere alla definizione di “giovinastro”. E poi non ho né Delta né Omicron: sono venuto a piedi.

“Ma se l’ho sentita che tamponava!”, accusa il portiere.

“Io? No!”, replico indignato. “Ah sì: è vero”, mi ravvedo: “Ma è un tampone sensibilissimo. Basta accostarlo al naso e suona, vede?”

Dimostro e il mio naso gracchia e si accende come quello dell’Allegro Chirurgo.

La gente si ritrae.

“No, no”, rassicuro: “Sono un falso positivo”.

“Un falso positivo!”, esplode la signora con borsa: “Ci mancavano anche i falsi positivi, adesso. Che vadano a casa loro a fare i falsi positivi e vediamo cosa gli succede.”

Torno a rivolgermi all’impiegato. “Era solo per un chiarimento circa la quarantena: può aiutarmi? E’ che ho visto un articolo circa l’impennata dei contagi e volevo…”

“Ah interessante! Ma lei se blinda la supercazzola, anche un po’ di Casentino, come l’indice Rt…”

“Lei dice indice Rt… di che cosa si tratta esattamente?”.

“Le spiego. Mi porga l’indice. Ecco, lo alzi così. Guardi: lo vede come stuzzica? E prematura con aerosol anche?”

“Prematura? Ma senta…”

“Senza contare che la supercazzola ha perso i contatti con il Dcpm”.

Il pensionato con la coppola annuisce: “Dopo”.

Forse perché la conversazione si sta prolungando troppo e la coda, alle mie spalle, rumoreggia d’impazienza, un secondo addetto si avvicina.

“Che cosa succede qui?”

“Niente: volevo solo qualche informazione…”

“Troverà tutto online.”

“Sì, ma…”

“Online le ho detto, faccia passare le altre persone…”

L’addetto ha l’aria di non ammettere repliche. Sconfortato, giro i tacchi e mi avvio all’uscita.

Afferro però qualche parola che il primo addetto sta rivolgendo al secondo: “Tu non ti devi permettere di interrompermi quando faccio la supercazzola sanitaria…”

Mi volto: “La supercazzola sanitaria?”

Il secondo addetto scuote una mano a congedarmi: “Niente niente: vada ora signor Becchi”.

Risatine nella coda.

“Non mi chiamo Becchi”.

“Vada, vada”.

All’uscita incrocio un signore, come me in Ffp2, e mi sento in dovere di avvisarlo: “Faccia attenzione alla signora con la borsa”.

“Perché?”

Strizzo un occhio: “La signora cammina con la borsa e il fosso si salta senza ricorsa”.

Lui annuisce: “Io spero ancora nell’ispettore…”

“L’ispettore?”

“Ispettore virale”, conferma lui: “Con fuochi fatui”.

Io spero di no, a dirla tutta, ma non posso dargli torto. Come si dice di questi tempi? Tarapia tapioca della curva epidemiologica con Brusaferro o scherziamo?

PS Per un riscontro sui contenuti in questo articolo occorre far capo a governoitaliano.it/it/coronoavirus, coronavirus.regione.lombardia.it, “Amici miei”, “Amici miei atto II” e “Amici miei atto III”.

 

 

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