Certi nomi, e ancor più certi cognomi, bisogna meritarseli.
Non è una colpa, talvolta più una soma dover convivere con patronimici che hanno fatto la storia.
Pensa che oppressione per i Tognazzi e i Gassman quel cognome, che oppressione ma fino a un certo punto, perché mai probabilmente avrebbero deciso di fare gli attori o stare nel mondo dello spettacolo senza quei simulacri di padri costantemente sotto gli occhi. Oppure sì, ma con quote decisamente a sfavore, in tutti i sensi. Bravi o non bravi, arriva prima il cognome, poi la persona, è inevitabile. Hai voglia di essere candido, lucido e oggettivo, la pietra è dura da scalfire e la pietra di paragone è la più dura di tutte.
Pensa a Sean e Julian Lennon, figli di John. Magari bravi, dignitosamente bravi, ma nell’immaginario sempre costretti ad arrancare sulle orme del padre, orme rese scivolose da decenni di piogge di applausi ed encomi.
Penso a tutti i figli d’autore, e in fondo li immagino a volte impotenti, quasi per inerzia indotti a seguire l’esempio del genitore, mamma o papà, genitore uno o due, così i rompiscatole corretti e progressisti saranno contenti.
Qualcuno riesce intelligentemente a smarcarsi da un destino mediocre, vedi il figlio di Mina, Massimiliano Pani, capace di rimanere sulle orme della madre, al suo fianco anzi, coltivando il proprio talento di musicista, arrangiatore e compositore, il talento quello vero e non quello adottivo.
Qualcuno scivola in continuazione, rimanendo a galla, pur con intraprendenza, solo grazie al censo e alla munificenza della casata, diciamo dalle parti di Lapo Elkann.
Non è il primo a pronunciarsi in questo modo, ma recentemente mi hanno colpito le parole di Shaquille O’Neal, l’ex campione di basket americano. Dice ai figli, non avrete un centesimo da me per agevolarvi la vita, non avrete raccomandazioni o strade spianate. Dovrete sudarvi le vostre conquiste, dice: noi non siamo ricchi, io sono ricco. Pensieri sani e robusti, come il megafono dal quale provengono, sebbene il cognome rimanga, più grazia o palla al piede starà proprio ai figli stabilirlo.
E poi, un fosco sabato di novembre, arriva lui. Arriva Kennedy, nel bel mezzo di una manifestazione no vax a Milano, e prevedibilmente non lascia il segno. Del resto, un cognome da solo, non accompagnato, non può lasciare il segno, messo lì così, a declamare di complotti, dittatura e similitudini con il regime nazista. Un cognome in libertà nemmeno vigilata, immemore della storia che lo spazzerà via come un’appendice trascurabile di una famiglia fin troppo generativa e intraprendente.
A sottolineare che Robert F. Kennedy Jr. stava a Milano a predicare solo in virtù del cognome, al quale certo non ha portato pregio o rispetto, ma del quale si serve per aver fama, credito e visibilità.
Ma un cognome importante per forza deve mettere il pepe sulle terga? Si può anche avere un cognome importante e semplicemente essere bravi cittadini sconosciuti. Oppure malfattori se proprio si deve, ma dal profilo basso, non necessariamente Al Capone, va benissimo Beppe il Mariuolo, no?
Forse no, ecco, questo è il punto. Non consanguineo, d’accordo, ma ora che ci penso io stesso potrei farmi strada tramite il mio patronimico, omonimo di un papa, di un compositore e un uomo politico che si perde nelle nebbie dei tempi: potrei scandagliare il mio albero genealogico e provare a scovare una parentela in fondo.
Mi rendo conto di essere omonimo di una quantità di altra gente pure, brava gente e disgraziati farabutti, e un po’ mi rassegno all’anonimato, a meno che nei prossimi anni non lasci un segno indelebile della mia grandezza.
A meno che decida, in qualche modo e ad esempio, di seguire le orme del mio omonimo più celebre e candidarmi papa: sono maschio, ho più di 35 anni, non sono sposato, sono battezzato, potrei persino montare uno scandalo alla bisogna e spacciarmi per pronipote.
Oppure, visto quell’oscuro Roncalli uomo politico lontano nel tempo, e visti i dubbi e gli imbarazzi correnti, potrei candidarmi alla presidenza della Repubblica.
Con una buona campagna elettorale, chissà.