IL PENSIERO UNICO DI XI NON GUARDA IN FACCIA NESSUNO

Il terzo mandato conferito a Xi Jinping al termine del XX congresso del Partito comunista cinese ha suscitato osservazioni, in particolare, di carattere cronologico. Un periodo di tempo così lungo al vertice della Repubblica popolare è vantato, oggi, da due sole persone: Mao Tzetung e, appunto, Xi.

La durata al potere, tuttavia, non dice tutto: quel che è eccezionale nel percorso politico di Xi, e che più lo avvicina al Grande Timoniere, non è il Tempo, ma il Pensiero. Come il grande – e ingombrante – predecessore, Xi ha fatto del suo Pensiero lo Stato e dello Stato il suo Pensiero. La rimozione – anche fisica e spettacolarizzata, nel caso dell’anziano Hu Jintao (foto) – della “vecchia guardia”, la promozione dei “fedelissimi” alle cariche più importanti, sta a significare che non solo non è ammessa una linea politica esterna al Partito, ma che non è tollerato neppure un Pensiero estraneo ai lobi temporali dei leader. Non a caso, c’è chi teme che, dopo aver allineato (o appiattito) la classe dirigente del Partito sulle sue posizioni, Xi intenda procedere con la “normalizzazione” dei quadri e, via via, della società intera. Una Rivoluzione Culturale 2.0, insomma, tesa all’epurazione del pensiero critico in ogni angolo del Paese.

Chi oggi in Cina ricopre un ruolo di responsabilità politica ha già dato segnali di aver compreso perfettamente il nuovo corso. Nel suo primo intervento programmatico da “chief executive” di Hong Kong, John Lee Kachiu, ha detto di aver praticamente imparato a memoria le parti del discorso al congresso in cui Xi ha fatto riferimento all’ex colonia britannica: “Saranno le linee guida dell’amministrazione cittadina”. Parlare di “linee guida” sembra ancora concedere qualcosa all’interpretazione, parrebbe avallare una sia pur relativa libertà di movimento: non è così, mai eufemismo fu da interpretare nel senso più estremo e ristretto.

Il Pensiero di Xi, così innalzato dal congresso, ha valore anche retrospettivo, e dunque approva e giustifica pienamente le scelte operate dalla Cina durante la pandemia, ovvero la politica del “Covid zero”, con l’applicazione di lockdown lunghi e rigidi, il controllo tecnologico degli spostamenti, le punizioni “esemplari” rifilate ai trasgressori. Una gestione della società estremamente verticistica e autoritaria. Il fatto che la politica “Covid zero” abbia collezionato parecchi evidenti fallimenti non conta: i fallimenti non esistono se nessuno può sottolinearli pubblicamente.

Il Pensiero è diventato perfino Costituzione: una modifica ad hoc permette ora alla Cina di respingere – per principio – ogni possibilità di riconoscere in futuro l’indipendenza di Taiwan. Che questo anticipi una politica territorialmente aggressiva da parte della Cina rimane però da vedere. Xi non è Putin, il ruolo economico del suo Paese nel mondo rimane la sua priorità, le rivendicazioni territoriali della Repubblica popolare sono ben più limitate di quelle della Russia (oltre a Taiwan, ci sono isole di modesta entità contese a Giappone, Filippine e Vietnam), ma hanno comunque una valenza strategica notevole: indicano che la Cina esige un controllo più stretto sul mare – il Mar cinese meridionale, in particolare – e di conseguenza un peso geopolitico più consistente in tutta l’area. Soprattutto, stanno a indicare che in linea di principio la Cina rivendica la sua integrità geografica e storica: isole grandi e piccole “rubate” in passato (almeno secondo la storiografia ufficiale di Pechino) devono essere restituite e con esse deve essere restituito al Paese il suo orgoglio.

La Cina di Xi si avvia dunque a chiudere una volta per tutte – almeno è questa la convinzione del leader – il “gap” storico con l’Occidente (e con il Giappone) che nel grande Paese orientale molti avvertono ancora come una ferita aperta. Le umiliazioni internazionali subite nell’ultima fase imperiale, le cessioni coloniali, l’isolamento, l’arretratezza: tutto ciò deve venir riscattato, “la faccia” un tempo perduta deve essere restaurata. Per far ciò la Cina deve esibire per prima cosa una crescita economica spettacolare (cosa che ultimamente le riesce sempre più difficile) e poi un’influenza militare e diplomatica crescente. La Cina vuole “rispetto”: Xi non si stanca di ripeterlo. Per ottenerlo, invece della strada dell’apertura e del pluralismo, ha scelto quella del Pensiero Unico. Forse senza rendersi conto di quanto questo concetto suoni, in Occidente, irrimediabilmente arretrato.

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