IL PAZIENTE HA UNO SPIRITO, IL MEDICO DOVREBBE RISPETTARLO

Lavoro da circa tre decenni nei Servizi pubblici, da oltre vent’anni in ambito ospedaliero, e in questo lasso di tempo ci sono poche ma essenziali verità che ho appreso.

Una delle principali è che, se certamente i pazienti devono ascoltare i medici, decisamente più competenti in materia di anatomia, farmacologia e tanto altro, è altrettanto vero che gli operatori sanitari devono osservare e ascoltare i pazienti. A volte sono i pazienti ad essere poco rispettosi delle competenze degli specialisti, ma a volte siamo noi esperti ad essere poco attenti a ciò che il paziente ci comunica. Nel mio caso in particolare, gli psicologi non dicono alle persone cosa devono fare o come comportarsi, ma nella mia disciplina ha tanto rilievo la capacità d’ascolto.

Ed osservando i nostri pazienti, è indubitabile che l’esperienza di malattia sia quella in cui con più vigore emergono i bisogni spirituali. Per tante persone, durante la malattia, la preghiera, il raccoglimento e la meditazione rappresentano un rifugio e un sostegno.

Noi operatori sanitari dobbiamo prendere atto di questa realtà e semplicemente favorire ciò che aiuta le persone, quale che sia il nostro credo o la nostra posizione personale. Così come è un dato di fatto che la nostra società è sempre più multietnica e multiculturale, ci piaccia o meno.

Un ospedale moderno non è tale solo se dotato di apparecchiature tecnologiche sempre più sofisticate, ovviamente indispensabili, ma deve possedere anche la capacità di rispettare tutti i bisogni soggettivi dei pazienti e dei loro familiari. Tra questi, i bisogni spirituali sono tra i più importanti. Ma anche, talvolta e purtroppo, i più bistrattati.

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