IL PATRIOTTISMO FARLOCCO PER IL RITORNO DI CECILIA

Ho il sospetto che qualcuno, tra i miei quattro lettori, abbia intuito che i flussi di massa non mi siano particolarmente cari: ciò che, comunemente, viene definito “mainstream” io preferisco immaginarlo come un fenomeno di manipolazione collettiva che dia origine a veri e propri miti fondanti. Che, però, alla fine, sono miti fondenti: lasciano soltanto un po’ di amaro in bocca.

Potete, perciò, immaginare come abbia accolto il gaudioso cinguettio che ha circonfuso il ritorno in Italia di Cecilia Sala. Per carità: io non auguro il male di nessuno e figuriamoci se lo posso augurare ad una gentile signorina che sia andata in Iran a denunciare le storture della repubblica islamica. Tuttavia, credo che il coro unanime di parlamentari, giornalisti e mastri pensatori assortiti, tutti ad elevare peana e a gonfiare il petto per questo trionfo collettivo del popolo italiano induca a qualche breve, acidula, riflessione.

Tanto per cominciare, cosa dobbiamo intendere con l’obsoleta parola “patriottismo”, che, ormai, si toglie dalla naftalina soltanto in certe circostanze molto particolari? Dovrebbe significare un senso di comunità che travalica la singola circostanza o, come spesso si ama dire dalle nostre parti, l’emergenza: dovrebbe esistere un patriottismo non emergenziale, ma, per così dire, normale. Gioire degli altrui successi e dolersi degli altrui dolori è sentimento generoso: farlo nei confronti della propria comunità umana e nazionale è quasi un dovere. O, meglio, dovrebbe esserlo. In realtà, in questo Paese di mille campanili e dalle infinite curve da stadio, la Patria non è quasi mai la “Vaterland”, ma, quasi sempre la “Heimat”: la piccola Patria, che, ovviamente, coincide con il paesello, la conventicola, la cerchia o la setta.

Fanno eccezione gli episodi, come quello di Cecilia Sala: non perché, credo, alla gente importi di più della signorina Sala che di mille altri nostri connazionali nelle peste, ma perché dichiarare che della cosa ci si disinteressi sarebbe stata una confessione di crudeltà e cinismo agli occhi di una platea cui il caso Sala è stato presentato, fin dall’inizio, come una prioritaria questione d’interesse nazionale.

E tutti gli altri? Tutti gli altri no: le migliaia di Italiani che, ogni giorno, affrontano problemi altrettanto drammatici, dalla salute al mettere insieme il pranzo con la cena, dalla carcerazione ingiusta alla violenza di strada, quelli non meritano l’attenzione dei media. Per quelli, il patriottismo non esiste: siamo patriottici a comando, insomma. Quindi, lo ripeto, varrebbe forse la pena di domandarci cosa voglia dire essere Italiani, nell’anno di grazia 2025. Vuole dire sentirci partecipi delle sorti degli altri che, come noi, facciano parte di questa sgangherata famiglia oppure soltanto di quelli per cui l’interesse, la moda del momento, la voce del padrone, ci dicano di spendere lacrime e denari?

Prendiamo le tasse. Io credo che a tutti o quasi pagarle peserebbe di meno (non dico farebbe piacere) se si sapesse che vanno a colmare le enormi differenze che dividono un Italiano dall’altro sul piano economico: se diventassero asili, ospedali, cavalcavia. Invece, sappiamo o immaginiamo che vengano ampiamente sprecate, perdendosi in mille rivoli. Di qui deriva un vasto e diffuso sentimento di sfiducia, quando non di aperta ostilità, per lo Stato, identificato in chi ci governa. Invece, scusate se lo dico, lo Stato dovremmo essere noi: noi tutti. E dovremmo percepire una vittoria o una sconfitta dello Stato come una vittoria o una sconfitta di tutti: la cartaccia buttata in terra nel giardino pubblico dovrebbe farci lo stesso effetto che se la buttassero nel nostro salotto, se rendo l’idea.

Questo sognavano i padri fondatori: per questo tanta brava gente si è sacrificata nei secoli. E proprio questo abbiamo perduto, inseguendo la fatuità, la superficialità dell’accomodarsi in una visione del mondo prefabbricata e regalataci dai manipolatori seriali. Un Paese senza umanità, senza solidarietà, senza identità, tranne che in occasioni particolari e mai per motivi nobili o profondi.

Perciò, ben tornata a Cecilia Sala, incolpevole di questi meccanismi: ma non venite a ciarlare di vittoria dell’Italia. Quella non è l’Italia: l’Italia vera, quella per cui dovremmo lottare e commuoverci, è seduta in una sala d’aspetto ad attendere una visita medica o un treno in ritardo. L’Italia vera siamo tutti noi, anche se non lo sappiamo. O ce lo siamo dimenticato.

Un pensiero su “IL PATRIOTTISMO FARLOCCO PER IL RITORNO DI CECILIA

  1. Cristina Dongiovanni dice:

    Quanto apprezzo l’affiorare così ordinato ma allo stesso tempo compulsivo di questa verità che quasi tutti fingono di ignorare. Si trattasse di patriottismo! L’ esultanza per la liberazione di Sala ( che sono stata molto felice di apprendere) è come lo scoppio degli ultimi botti di capodanno… qualcuno ha detto che non possono mancare.

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