IL PATETICO PIAGNISTEO DEL GIORNALISTA DEVOTO

Mi ha abbastanza divertito (e anche un pochino imbarazzato), il tweet lanciato da un giornalista, stipendiato da Berlusconi a Palazzo Grazioli, e giubilato l’anno scorso, insieme ad altri dipendenti, dopo il trasferimento del quartier generale cavalleresco in altro sito. Nel suo cinguettio di dolore, si possono riconoscere almeno due sentimenti, per solito considerati piuttosto antipodici nella letteratura cortese: l’amarezza per la fedeltà non rimeritata e quella per le palanche non introiettate. Una mano sul cuore e l’altra sulla tasca destra dei pantaloni, insomma.

Tuttavia, ciò che mi ha più colpito è la pretesa di una sorta di rispetto di un privilegio feudale, da parte di un professionista a libro paga: è un po’ come se un lanzichenecco avesse preteso dal suo datore di lavoro riconoscenza per il suo attaccamento alla causa. Se qualcuno di voi si ricorda di cosa successe a Marignano, immagino avrà colto al volo il senso della frase.

Dunque, ricapitoliamo: tu sei un giornalista, ovvero uno che, teoricamente, dovrebbe essere, non si dice super partes, ma, perlomeno, extra partes. Vai a lavorare per un magnate che fa politica e che, di fatto, ti acquista sul mercato: niente di male, intendiamoci, anche se questo, in qualche modo, appanna un tantino l’immagine da cavaliere errante di cui sopra. A un certo punto, il magnate, che ragiona da magnate, mica da sacro romano imperatore, decide di traslocare e di liberarsi delle cineserie avanzate nella vecchia dimora, ivi inclusi gli esseri umani. Di solito, quelli molto ricchi pensano di poter comprare tutto o quasi: e, qualche volta, hanno pure ragione.

Sicchè, il Nostro rimane a piedi, al pari di altre ancelle e paggi della corte itinerante. E, di qui, parte la geremiade: coi tempi che corrono, l’economia, la disoccupazione, zum zum, la fedeltà mal ricambiata, la coerenza non rimeritata, alè hop, il guiderdone mancato. Ecco, soprattutto il guiderdone.

Mio caro giornalista, c’è gente, in questo povero Paese, che non ha mai avuto né carriere né guiderdoni, perché non si è mai agganciata alla locomotiva di qualche palancaro politicante: lei lo ha fatto, ed è stato ricompensato con l’ingratitudine. E che si aspettava? Berlusconi non è mica Re Artù e non ha mica fatto i soldi grazie al mago Merlino: è un imprenditore e imprende. Se ne faccia una ragione: se si lavora per un carbonaio, a Natale non ci si può aspettare che ti regali altro che carbone.

D’altronde, sull’utilizzo dei mercenari, era già stato chiarissimo Francesco di Ser Petracco: “Vano error vi lusinga:/poco vedete, et parvi veder molto,/ché ’n cor venale amor cercate o fede.” Più chiaro di così. Dunque, mio caro, si metta il cuore in pace: è andata buca. Si trattenga, lieto, il tesoretto devolutole dal suo ex datore di lavoro per suoi servigi e non vada cercando di cavare il sangue dalle rape. Le rape sono prive di sangue, così come i mecenati sono privi di compassione per i propri succedanei.

Anzi, se posso permettermi, le darei un consiglio: la prossima volta, non faccia il succedaneo: faccia il battitore libero. Magari non guadagnerà cifre enormi, ma, certamente, si potrà risparmiare i tweet strappacuore. E non dovrà tremare ad ogni trasloco.

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