IL PATETICO FUGGI FUGGI DA BOLSONARO

Con quel nome, Jair Messias avrebbe dovuto fare il calciatore. Il suo arrivo in Italia sarebbe stato accompagnato da fanfare, coriandoli e peana. Invece come terzo nome – tutti i brasiliani ne hanno almeno tre – Jair Messias fa Bolsonaro e si è messo in testa di diventare presidente del più grande Paese del Sudamerica. Il bello è che c’è riuscito, circa tre anni fa. E mica come fanno spesso là attorno, a colpi di mitra e carri armati: macché, eletto trionfalmente da una massa di cittadini liberi e giocondi.L’uomo è un tipo bizzarro, ma da quelle parti se non sono un po’ così non se li filano. Il bello è che il Jairzinho non è propriamente “di quelle parti”: è di “queste”. Il bisnonno si chiamava Vittorio Bolzonaro, nato il 12 aprile 1878 ad Anguillara, all’epoca terra di pellagra a metà strada tra Padova e Rovigo e oggi capitale italiana delle angurie. Il vecio Bolzonaro già nel profondo Veneto aveva addolcito la “zeta” del cognome, ché da queste parti ha un suono troppo “romano”, trasformandola in una scivolante “esse”. Emigrato in Brasile per andare a fare la fame almeno in un posto meno umido, si era presentato così alle autorità di quel Paese dall’altra parte del mondo: “Me ciamo Bolsonaro”. E Bolsonaro fu. Ribattezzato Joao, perché Vittorio laggiù suona come “Viciorjo” che obbiettivamente non si può sentire.

Tutto questo per arrivare a Jair Messias, per dire la strada che può percorrere una famiglia di migranti. Un tipo bizzarro, dicevamo: un po’ troppo, come hanno sperimentato a loro spese gli stessi brasiliani che lo avevano eletto. No vax convinto – e ovviamente contagiato – da subito ha sentenziato che il Covid era un’influenza come un’altra e non era necessario prendere misure di contenimento (ammesso e non concesso che sia possibile “contenere” i brasiliani). Una specie di Montesano carioca. Risultato: il Brasile è uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia, terzo per contagi dopo Usa e India e secondo per numero di morti. Giusto tre giorni fa una commissione d’inchiesta del Senato a Brasilia lo ha accusato di “crimini contro l’umanità” per la gestione della pandemia.

Jair Messias democraticamente se ne frega, e ora è in Italia insieme ai Grandi della terra. Piaccia o non piaccia, è lui a rappresentare legittimamente il Brasile al G20. E l’occasione, dalle parti di Anguillara, è stata colta al volo per invitarlo a fare un giro più largo e rivedere la catapecchia da dove tutto è cominciato, uguale a quella di centinaia di migliaia di veneti come il bisnonno Vittorio Joao. Quando mai, ad Anguillara, rivedranno un capo di Stato, uno dei 20 Grandi? Una bella cittadinanza onoraria non si nega a nessuno.
“E invece no, si nega!”, insorgono da sinistra fino alla curia vescovile. A un soggetto simile, ma come si fa!

Risultato: Bolsonaro lunedì, terminato il G20, volerà a Venezia e dall’aeroporto fino ad Anguillara con un corteo di 20 auto al seguito, poi un salto a Padova per una preghierina a Sant’Antonio e via in Brasile. Ma in questo blitz veneto non troverà praticamente nessuno. Il sindaco di Anguillara, certo. E poi stop. Forse qualche decina di sinceri democratici dei centri sociali, tenuti a bada dalle forze dell’ordine si spera con esiti migliori di quelli visti alcune settimane fa a Roma. E Presidenti, Governatori, Sindaci, autorità varie sempre pronte a sgomitare per una foto in prima fila in occasioni come queste? Svaniti. La giustificazione imperante è: “Impossibilitato a partecipare per precedenti impegni”.

Ora: il Bolsonaro è quello che è, una specie di Trump alla samba e non serve aggiungere altro per criticare le sue assurde iniziative di governo. Ma è il Capo dello Stato del Brasile, una delle più grandi e popolose democrazie al mondo. E a leggere le indignate prese di distanza di politici e alti prelati che preannunciano di non volerlo neppure vedere qualche perplessità – sommessamente – viene.

Perché mi sbaglierò, ma non ne ho ascoltate quando – vado a memoria – il Papa ha ricevuto con gli onori delle Guardie Svizzere schierate personcine a modo come il presidente dell’Iran Rohani, il bielorusso Lukashenko, il cinese Xi Jinping, il venezuelano Maduro, il turco Erdogan. Da quel sincero democratico di Fidel Castro, dati gli acciacchi, si recò personalmente. E laicamente parlando, l’affettuosa Repubblica Italiana ha omaggiato del Cavalierato di Gran Croce del Gran Cordone dell’Ordine al merito (che detta così sembra un’onorificenza fantozziana, manca solo il Lup. Mann.), quel benefattore del popolo siriano che risponde al nome di Bashar al Assad, o il sultano padre padrone del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev. E sempre in tema di sultani, vogliamo parlare di Tayyip Erdogan? Accoglienze trionfali, un tripudio di medaglie e onorificenze (a Roma, mica ad Anguillara) che negli anni abbiamo riservato a personaggi come Josip Broz Tito, al golpista indonesiano Suharto, al dittatore del Congo e cannibale Mobuto Sese Seko, al padre della patria romeno Nicolae Ceaucescu (e gentile consorte Elena, alla quale però inspiegabilmente fu negato il Gran Cordone).

Tutti ricevuti, omaggiati, onorificati. Tutti, ma Jair Messias no. E allora ditelo, che ce l’avete con Anguillara. Ditelo, e poi andate un po’ a nascondervi.
 

 

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