IL PAPA CHE TORNA SEMPRE ALLA FINE DEL MONDO

di DON ALBERTO CARRARA – Papa Francesco ama le sfide, anche quando mette in atto gesti simbolici come i viaggi. I viaggi infatti non hanno un immediato risvolto politico. Sono soprattutto incontri e cercano di mettere le premesse di altri incontri o di renderli più facili con accordi, colloqui, documenti. Non cambiano il mondo, ma fanno qualcosa perché possa cambiare.

Diventano decisivi i luoghi che visita e i messaggi che lancia. I luoghi soprattutto. Predominano nei molti viaggi fuori Italia alcune zone del pianeta che potrebbero essere definite “lontane” o “marginali”. Nel 2019, ultimo anno di viaggi prima della pandemia Covid, papa Francesco ha visitato Panama, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bulgaria e Macedonia del Nord, Romania, Mozambico, Madagascar e Mauritius, Thailandia e Giappone. Il papa venuto “dalla fine del mondo” – così si era presentato al momento della sua elezione – preferisce andare verso la “fine del mondo” dalla quale è venuto. La geografia dei viaggi papali, cioè, dice che la sensibilità del papa è verso il sud del mondo, verso paesi fortemente segnati da altre culture e da altre religioni.

Sembra di intuire, in queste scelte, la convinzione che il vecchio cristianesimo, quello del nord del mondo, l’Europa e il Nord America, ha ormai perso vitalità e, in alcuni ambiti, sta spegnendosi lentamente. Si pensi alla Francia, al Belgio, ai Paesi bassi, ai paesi della riforma protestante, Inghilterra e paesi tra il Mare del Nord e il Baltico. Il cristianesimo popolare è invece forte nell’Africa subsahariana e può sentirsi stimolato in culture diverse da quelle storiche in cui si è sviluppato: quelle dei paesi dell’estremo Oriente, India e Cina soprattutto. Il papa sta dicendo, con le scelte dei suoi viaggi, che il cristianesimo sta andando verso sud e verso est.

C’è un’altra “direzione” dei viaggi papali: quella verso paesi dissestati in passato dalla guerra o dalle divisioni di culture e di razze. I viaggi in questi paesi servono o a asciugare ferite ancora aperte o a favorire riavvicinamenti. Qui il papa si sente soprattutto portatore non tanto di un messaggio evangelico, ma di un messaggio pacificatore: è il papa “esperto in umanità”.

Il viaggio in Iraq è un po’ tutto questo. In Iraq i cristiani sono comunità massacrata e piccolissima minoranza. E poi l’Iraq è quella polveriera mai spenta che sappiamo: una terra, dunque, “di confine”, da “fine del mondo”. Difficile dire se il viaggio del papa lascerà qualcosa e che cosa lascerà. Forse lascerà solo un po’ di nostalgia per un mondo più fraterno. Sarebbe moltissimo, in un paese lacerato e diviso come l’Iraq.

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