SENZA CORRETTORE DI BOZZE IL NUOVO MONDO E’ SOMARO

di MARCO CIMMINO – Capita sempre più spesso che mi si facciano notare svarioni ed erroracci da matita rossa, in articoli di giornale, titoli, sottopancia televisivi e, insomma, in ogni forma di comunicazione collettiva, tanto cartacea quanto in video. A volte, sono io la parte in causa: nel senso che vengono attribuiti a me, per solito di un’attenzione maniacale sul versante morfosintattico, sfracelli ortografici che, viceversa, sono di esclusiva pertinenza del titolista. Il quale è del tutto autonomo nella scelta del titolo: tanto è vero che, spesso e volentieri, il titolo c’entra col contenuto del mio articolo come i cavoli a merenda.

Tuttavia, finchè si tratta di questo, mi sento di poter dire che la cosa va sotto la voce “incerti del mestiere”. Quello che, invece, sta diventando un fenomeno preoccupante è l’aumentare di frequenza di veri e propri errori madornali all’interno degli articoli: non solo clamorosi sgionfoni lessicali, ma esilaranti equivoci di cultura generale. Ed è proprio di questo che i miei interlocutori più si lamentano. Per scherzarci su, ho anche creato un gruppo su Facebook, che si chiama: “Sentinelle dell’orto”. Dove l’orto sta per l’ortografia, a scanso di equivoci.

Da allora, ho assistito alla proliferazione di un incredibile florilegio di ogni sorta di bestialità ortografica, di inverosimili costrutti sintattici, di formidabili idiozie. Lo giuro: non avrei mai creduto che, nella patria di Dante, si potesse scendere così in basso. Eppure, si scende, eccome! E, finchè lo fa la proverbiale casalinga di Voghera, passi: tra i professionisti della comunicazione, la cosa diventa meno tollerabile.

Parte del problema deriva, certamente, da uno scadimento progressivo dell’arte dello scrivere: a scuola non si scrive più, la comunicazione scritta passa sempre più da una tastiera, la lingua si è abbreviata, velocizzata e impoverita.

D’accordo: ci sta. Ma, in parte, la responsabilità ricade sulla cancellazione di una delle figure chiave di un giornale: il correttore di bozze. A mezzo tra un impiegato e un giornalista, spesso, anzi, giornalista mancato, il correttore di bozze era una figura semimitica: fino a tarda ora, nei più oscuri penetrali del giornale, analizzava scrupolosamente gli articoli, cancellandone e correggendone errori, sviste, mende e refusi. Leggendaria, esemplarmente, è la figura di un meticolosissimo correttore di bozze britannico, in un celebre racconto del grande Dino Buzzati. Il correttore di bozze era spesso guidato da una cultura enciclopedica e un tantino pedante e da un sogghignante senso di rivincita verso il celebre corsivista che sbagliava i verbi ausiliari. Alla fine, però, ciò che sfuggiva al suo acutissimo occhio era davvero poca cosa: il giornale era, in definitiva, opera compiuta e abbastanza corretta da affrontare serenamente il giudizio del più esigente dei lettori.

Come è, ahimè, noto, la carta stampata ha pagato, come e più di altre categorie, la crisi economica: un po’ alla volta, ci si è ridotti all’osso e, tra i tagli, inevitabili o meno, che gli editori hanno dovuto introdurre, uno dei primi ha riguardato la figura del correttore di bozze, ritenuta superflua, dato anche il meraviglioso livello raggiunto dagli scienziati dell’informazione. E qui potrei aprire una velenosa parentesi sulle facoltà di “Scienza della comunicazione” e sulla loro valenza culturale: magari, ne scriverò in un pezzullo ad hoc.

Fatto si è che, siccome il livello dei sopradetti scienziati è quello che è, mai come adesso ci sarebbe bisogno dell’omarino che controlli le bozze. Solo che se n’è persa la traccia e, anche volendo, non se ne potrebbe trovare più, neanche pagandoli a peso d’oro.

Così, all’interno di pretenziosi elzeviri e scintillanti articolesse, scoppiettano i lapsus, i qui pro quo, i puri e semplici erroracci da scuola elementare: poeti diventano terzini, preposizioni si fanno avverbio e verbi essere diventano avere. Per sorvolare sulla confusione storica, che fa impallidire il Piave di Mario, che mormorava nel ’15 anziché nel ’18. D’altronde, con un’assessora bergamasca alla cultura che ha fatto cominciare la Grande Guerra il 23 agosto, c’è poco da meravigliarsi. Ma la nostalgia per quell’omino che passava le serate a farci le pulci è veramente tanta.

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