di GIORGIO GANDOLA – “Cos’hanno fatto i navigator in questi mesi? Hanno preso lo stipendio”. È la battuta più gettonata al ministero del Lavoro e nei Centri per l’impiego, serve per definire il perimetro di una figura misteriosa al limite del mitologico inventata da Luigi Di Maio (sembrerà strano ma è stato anche ministro del Lavoro e delle Politiche sociali) per dare un senso meno assistenziale al reddito di cittadinanza.
I navigator dovevano servire per recuperare i disoccupati alla dignità del lavoro, per reinserirli nel mondo produttivo, per trovare un percorso personalizzato dal divano all’azienda. Era la seconda fase del Reddito, e si sa che a noi italiani le seconde fasi non vengono mai benissimo.
Il giudizio sull’utilità dei navigator (a vista) va oltre la politica, non può essere né di destra né di sinistra perché è contenuto nei numeri. Pochi, illuminanti. Sono 2846 figure invisibili, impalpabili, che in 12 mesi hanno aiutato a trovare lavoro a 100.000 persone su 2,8 milioni di percettori del reddito di cittadinanza: meno del 4%, un impatto insignificante. Va detto che la loro navigazione sta avvenendo in mezzo ai monsoni; sembra esserci qualcosa di divino contro l’iniziativa, partita in pompa magna un anno fa, simbolo di un sistema Lavoro-Welfare appaltato pesantemente al Movimento 5Stelle.
Il decollo fu ostacolato inizialmente dalle regioni che non li volevano nei loro Centri per l’impiego e soprattutto da un errore procedurale micidiale: invece di far firmare il Patto per il lavoro (vale a dire l’impegno a cercarlo) prima di erogare il sussidio di disoccupazione, il ministero ha pensato di farlo dopo. Con il risultato che il 50% dei precettori deve ancora sottoscriverlo.
Pasticci a parte, a marzo è arrivato il lockdown per il virus cinese e i navigator non ancora usciti dal porto si sono limitati a galleggiare nella vasca da bagno. L’Anpal Servizi, società pubblica creata per gestirli, li ha messi in smartworking. Ma dopo qualche settimana il decreto Cura Italia ha sospeso l’obbligo da parte dei beneficiari del Reddito di cercarsi un impiego, di fatto togliendo anche l’ultimo grammo di responsabilità ai nostri eroi di flanella.
Così per quattro mesi i navigator hanno deambulato in rete senza un approdo, hanno vissuto una sospensione dell’esistenza la cui tristezza era mitigata dalla verifica del conto corrente: pur non avendo nulla da fare, hanno continuato a percepire uno stipendio di 1700 euro netti al mese.
Ma non è finita. Avendo un contratto triennale da co.co.co., in teoria avrebbero potuto chiedere i famosi 600 euro di sussidio e non è escluso che alcuni – prendendo spunto dalla fulgida classe politica – lo abbiano fatto.
Ora dovrebbero recuperare, issare le vele, allungare lo sguardo sull’orizzonte del lavoro; dovrebbero mostrare la ferocia del capitano Achab alla ricerca della balena bianca. Ma settembre comincia e la calma è ancora piatta. Se in autunno non si percepirà uno scatto significativo, il fallimento sarà completo.
Nel frattempo la media degli euro pubblici per ciascun percettore di Reddito è di 561, vale a dire 1,5 miliardi all’anno. Un costo che equivale al triplo del risparmio con il taglio referendario dei parlamentari. Si potrebbe affondare il coltello nella facile demagogia ma non è qui il caso, anche perché non possiamo permetterci di perdere di vista i navigator, sui quali cominciano ad addensarsi nubi nere. I loro contratti scadono ad aprile 2021, in Parlamento sono tutti scontenti dell’iniziativa (tranne coloro che l’hanno inventata e la difendono) ed è probabile che non vengano rinnovati.
A questo punto ecco la tempesta perfetta, destino di chi naviga senza bussola: anche i navigator dovrebbero cercarsi un lavoro o chiedere il reddito di cittadinanza.