IL MIO GRATO ADDIO A OTTENS, MISTER MUSICASSETTE

di JOHNNY RONCALLI – Ferro, cromo, ferrocromo, metal. C46, C60, C90, C120. L’inizio è scoraggiante, me ne rendo conto, ma chi c’era sa che non stiamo parlando di siderurgia, chi c’era associa immediatamente un nome a quelle parole e alle sigle numeriche che seguono: musicassette.

Qualche giorno fa se n’è andato, a 94 anni, Lou Ottens, nome che nemmeno chi c’era conosce o conosceva, ma l’invenzione della musicassetta si deve a lui. Olandese, ingegnere per la Philips, nel 1962, quasi per gioco, si inventò questa scatoletta contenente due bobine di nastro magnetico scorrevole, dall’una all’altra, sul quale incidere musica, pensieri e parole. Per lo più musica, e fu una rivoluzione.

Gli album degli artisti cominciarono a essere prodotti anche su nastro, certo, ma la vera rivoluzione fu un’altra: ognuno in casa poteva incidere il proprio nastro, copiare un disco per gli amici o farselo prestare e copiarlo per sé, ad esempio. Poteva incidere raccolte di brani preferiti, oppure a tema, oppure registrare brani dalla radio.

In più, le infinite band agli esordi sparse per il pianeta, la mia inclusa, poterono finalmente e facilmente registrare più o meno approssimativamente il proprio repertorio e farlo conoscere a case discografiche, locali dove suonare o semplicemente agli amici.

Chi ha vissuto gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, persino i primi anni Novanta, sa bene di cosa parlo. Originali o casalinghe, le musicassette erano ovunque e chiunque avesse buttato l’occhio nell’abitacolo di qualsiasi auto parcheggiata, difficilmente sarebbe rimasto a bocca asciutta.

Per anni e anni la musicassetta è stato il supporto musicale d’elezione in automobile, spodestando presto il più ingombrante stereo8. Difficile oggi spiegare a chi non c’era, rimanendo credibili, cosa significasse l’autoradio in macchina. In quei due decenni, l’autoradio fu uno dei bottini più ambiti dai mariuoli di bassa lega, senza che mai si capisse se fosse più passatempo o fonte di guadagno. Sta di fatto che due erano le possibilità: nasconderla in auto, sotto il sedile o nel bagagliaio, oppure portarsela appresso, se estraibile, portarla dove si doveva andare, per dove si doveva andare, così, sottobraccio.

Le compilation poi, le compilation per sé, con i propri brani preferiti, oppure da dedicare alla propria dolce metà o, più spesso, per provare a far crollare senza scampo quella che avremmo voluto diventasse la nostra dolce metà.

Anche qui, difficile rendere l’idea. La C90 (90 minuti) era la versione più gettonata, quella classica, anche perché potenzialmente poteva contenere un intero LP su ogni lato: quaranta, quarantacinque minuti era la durata di un LP in genere, con le debite eccezioni e i debiti improperi, quando il nastro non bastava.

Ma si diceva delle compilation. Crearne una significava prendersi un pomeriggio libero, almeno. Sperando che tutto filasse liscio e senza intoppi, ma tutto tutto non filava mai liscio.

Beccare il solco d’inizio del brano sul vinile, stoppare il nastro al termine, in preda alla tensione capitava di schiacciare stop prima del tempo o, peggio, capitava di scoprire che non avevi affatto pigiato il tasto REC come eri convinto di aver fatto o di dover rimettere il disco perché saltava, e così via.

E poi elaborare la sequenza, cruciali l’inizio e la fine, ma non solo. L’accostamento, l’alternanza di brani lenti e veloci, la varietà ma allo stesso tempo una certa coerenza d’insieme. Si arrivava a sera spossati, sudatissimi, un vero lavoraccio, quasi mai ripagato, non dico a suon di baci , ma nemmeno con un sorriso d’apprezzamento.

Ora, un clic ed è fatta, tutto lo scibile musicale a portata di mano in un secondo, pronto per essere trasferito su una nuvola, da qualche parte, forse lassù , forse qua, forse là, impalpabile, non so nei cuori, questo no, non lo so.

Certo, chi non ha vissuto questo mondo analogico spinto, difficilmente può comprendere a fondo, o apprezzare il lavoro certosino dietro una cassetta ben congegnata, strali inclusi per gli incidenti di percorso.

Eppure, incredibile a dirsi, la cassetta resiste, non è scomparsa, sia pure come vezzo vintage.

Potrei ancora parlare di mangiacassette, letteralmente talvolta, perché il nastro se lo mangiava davvero, walkman, kit per la riparazione, cassette puliscitestine, maniaci integralisti che solo di cassette voglion sentir parlare, ortofrutticole pure, ma solo di quelle.

Mi fermo qui, un ciglio umido e una polverosa C90 tra i polpastrelli.

Comunque sia, grazie Lou Ottens, è stato un piacere.

Per dirla con Fabio Magnasciutti, abbiamo tutti avuto qualche sogno nella cassetta.

Un pensiero su “IL MIO GRATO ADDIO A OTTENS, MISTER MUSICASSETTE

  1. Antonio Defabianis dice:

    Ho trascorso serate e nottate in auto con il “mangianastri” per ascoltare musica con gli amici e per non farmelo rubare, portavo appresso il “frontalino” (grande invenzione). E tra i primi a Bergamo con il Walkman della Sony, mi sentivo un Dio…

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