IL MIO AMICO DIEGO ECCEZZZIUNALE VERAMENTE

di LUCA SERAFINI – E’ stato più facile vincere un Oscar che il più prestigioso premio italiano, il “David di Donatello”. Ma alla fine Diego Abatantuono, 66 anni il prossimo 20 maggio, l’ha conquistato: alla carriera, non per uno dei tanti suoi film che resteranno nella storia del nostro cinema. Un riconoscimento forse ancor di più, proprio per questo, strameritato. E sudato.

L’attore lo conoscete tutti, probabilmente la grande maggioranza delle 77 pellicole girate e le 12 fiction al suo attivo le avrete viste. Per le celebrazioni ci ha pensato addirittura il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che glielo ha consegnato al Quirinale.

Vi racconto l’uomo, invece, per una volta. Vissuto dalla prospettiva di un amico, di una persona di famiglia da oltre 30 anni. La poliedricità sul set è naturale, è sua: burbero e scanzonato, despota e remissivo, le sue mille facce atee nascondono una cristianità che si rivela puntualmente in ogni minuto del quotidiano. La mano è sempre tesa, senza distinzione tra amici, parenti, intimi o lontani. Quando hai bisogno, Diego c’è. C’è sempre stato. Con i suoi consigli, i suoi ordini talvolta, i suoi soldi anche. In cambio, affetto, amore ma anche delusioni. Il cerchio della vita, una vita vissuta già da bambino tra il palcoscenico e il back-stage del “Derby” di Milano, e sbocciata con un successo immediato e travolgente. Con una leggerezza distonica rispetto alla stazza, passando con disinvoltura dal comico al commediante con semplice naturalezza. Come quando si sveglia allegro e si rabbuia un attimo dopo, ma gli passa sempre senza scorie. Soffre il risentimento, mai il rancore. Una dote unica che non potrebbe essere più cristiana, appunto. Patisce i tradimenti, eppure non chiude la porta nemmeno dopo averli subiti.

Le sue case sono aperte al pubblico, come musei che fissano il suo lungo percorso: foto ovunque, foto di tutto e di tutti, foto di ciò che gli è accaduto e di chi con lui ha diviso e condiviso. Quando siamo in pochi a cena, tra di noi insomma, siamo una ventina. Senza contare i 10 che compongono la sua famiglia, che a Natale, Pasqua, Ferragosto e oltre riempiono la casa a Milano, Lucca o Riccione: ha due mogli da emiro (o da scià di Puglia, viste le sue origini di Vieste), perché Rita – dopo avergli dato la primogenita Marta – è rimasta “in casa” legandosi a Gabriele Salvatores e vivendo un rapporto sincero con Giulia, la “nuova” consorte (alla quale Diego è legato da oltre 30 anni e che da parte sua ha reso il terrunciello padre altre due volte, Matteo e Marco). Dopo essere diventato suocero del chirurgo Matteo Saccocci, è diventato anche nonno di Matilde, Carlotta, Michelangelo (3 mesi). Con Diego sono 11, proprio come una squadra di calcio, e ora il problema è crescere il piccolo Michelangelo milanista, perché papà Matteo è interista e mamma Marta non ha voglia di combattere la battaglia pallonara…

Autodidatta sorprendente, in questi lunghi anni tra riflettori, trucco e parrucco non ha mai smesso di leggere. Quotidiani, magazine, qualche libro, abbeverandosi di documentari sulla natura (la sua passione ossessiva nel decadimento annunciato del pianeta), la storia, la scienza, l’arte. Si definisce “Nientologo”, aggiungendo: “Non so un cazzo, ma di tutto”. Non è vero: sa. E capisce. Con un’immediatezza rara, senza bisogno di troppe spiegazioni. Manipola le storie con ironia e arguzia, portandole spesso a sé quando se ne discute o spartendole con quelli che non ne sanno. Rintuzzando chi ne sa di più. Riesce a guardare un film da spettatore puro, poi però quando scorrono i titoli di coda ricorda alla perfezione inquadrature, dialoghi, picchi o buchi di sceneggiatura, effetti, come nessun critico – penso – saprebbe cogliere al dettaglio.

L’umorismo di Diego sta nell’espressività e nella battuta tagliente, bruciante. Sta nella parodia o nell’imitazione, ruotando sempre e comunque a tre e sessanta nella ricchezza del linguaggio, nella ferocia dell’immediatezza. E’ raro sorprenderlo, è la norma sorprendersi. Dice che gli viene difficile rendersi simpatico a chi non lo conosce, per quell’ego un po’ arrogante che lo porta all’estremo: un adorabile stronzo, più adorabile che stronzo. Invece amarlo è semplicissimo, perché intuisci alla svelta che quel suo modo assoluto è in realtà democrazia: per lui l’interlocutore ha sempre pari dignità e rispetto, sia un amico da mezzo secolo o un tizio che gli hanno appena presentato. Un parente o un perfetto sconosciuto. Certo, devi saperti sintonizzare sulla sua frequenza, ma non è poi così complicato. Anzi. Altrimenti non racconterebbe quasi ogni giorno delle sue origini al quartiere Giambellino, non esattamente i Parioli milanesi, cui è legato assai più che alla fama e al successo.

Nel premiare Abatantuono (e con lui una grande pagina di storia del cinema italiano), Mattarella ha parlato in modo fin troppo convenzionale della crisi del cinema e del teatro. Penso che la perdita dell’89,5% del pubblico e del fatturato in 16 mesi, l’indifferente insipienza che si succede di governo in governo su questo tema, meritassero un monito più risoluto e severo da parte del capo dello Stato. Senza timore di offendere il turismo e altre filiere inginocchiate dalla pandemia e dalla politica, forse più da quest’ultima che dal virus. Una nota stonata in una giornata che in ogni caso non ha scalfito l’emozione dei mille intimi di Diego e dei milioni di fan di Abatantuono.

Un pensiero su “IL MIO AMICO DIEGO ECCEZZZIUNALE VERAMENTE

  1. ABD. MAHMOUD dice:

    Grande Diego ! Al cinema, alla Tv, allo stadio sul campo contro il Pibe d’Oro …. ovunque !
    Ora, po ritornare l’autentico “rossonero”. L’aspetiamo da Georgio ??

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