IL MIO ADDIO AL SIGNOR MIVAR, DISPOTICO GENIO ITALIANO

La morte di Carlo Vichi, 98enne titolare della Mivar – “Milano Vichi Apparecchi Radio”, fondata nel 1945 -, mi provoca un’ondata di ricordi personali, che vengono dal mio passato lavorativo.

A fine anni ’80 e in buona parte della decade successiva ho lavorato in Philips come responsabile della divisione audio-video e avevo come diretto concorrente proprio il geniale Carlo. Era riuscito a compiere il tipico miracolo italiano, diventando il numero uno nel settore dei televisori in Italia, mettendosi alle spalle proprio noi e la Sony, grandi multinazionali del tempo a cui lui avrebbe dovuto fare solo il solletico. Invece.

Il suo cavallo di battaglia era il 14 pollici, la versione più piccola e economica, imbattibile sotto tanti punti di vista: robustezza, affidabilità, semplicità, durata e rapporto qualità/prezzo. Peccato che il cuore dei suoi televisori, il tubo catodico (parola d’antan, vero?), lo comprasse proprio da Philips. Lui era, allo stesso tempo, il miglior cliente europeo per il mio collega che vendeva componenti e il mio peggiore nemico sul mercato del prodotto finito. In azienda non si sapeva se amarlo o odiarlo.

La sua schiettezza brutale gli faceva ammettere che aveva bisogno della migliore componentistica per fare il più bel televisore del mondo. Tutto il resto lo produceva lui. Anche i telecomandi, anche le attrezzature meccaniche delle sue linee in fabbrica, anche i mobili per i suoi uffici.

Beh, il suo ufficio era rappresentato da una semplice scrivania piantata nel bel mezzo della fabbrica. Diceva di non aver bisogno di nessun lusso, né privilegi: lui preferiva stare con i suoi amati operai. Di certo non aveva lo stesso atteggiamento verso i sindacati, che odiava perché – diceva – gli rovinavano l’equilibrio interno. Un tipaccio, sotto diversi aspetti. A partire dalla sua manifesta predilezione per il fascismo, per finire con il suo pessimo rapporto con i figli, soprattutto con il maschio che avrebbe dovuto seguire le sue orme, invece allontanato in malo modo.

Lui comunque vendeva a tutti, il primo a entrare in grande distribuzione, decideva i prezzi in prima persona. Non ascoltava mai nessuno. Aveva una distribuzione eccezionale con agenti di vendita fedelissimi, che hanno guadagnato fortune grazie a lui.

Un aneddoto che non dimenticherò. Dopo essermi stancato dello stupore nelle facce degli olandesi nel vedere la leadership in Italia di questo marchio sconosciuto, decido di farlo incontrare con il numero uno della ricerca e sviluppo della Philips. Porto il mio collega ad Abbiategrasso nella fabbrica Mivar per fargli vedere dal vivo il fenomeno italiano. Tipico soggetto nordico, il mio: alto, vestito di tutto punto, lingua inglese e parecchia spocchia. Dopo i convenevoli abbastanza cordiali (io e Vichi ci conoscevamo già), lui accoglie il top manager semplicemente davanti alla sua umile scrivania, niente sale riunioni, lo squadra bene e mi dice di tradurgli letteralmente queste parole: “gli dica che lui è solo un costo per l’azienda, non serve a nessuno e andrebbe tagliato”. Immaginatevi la mia acrobazia nel mettere insieme una traduzione accettabile.

Questo era Carlo Vichi. Nel bene e nel male era un talento in tutto ciò che faceva. La fine del suo grande successo è arrivata fatalmente proprio da una sua convinzione cocciuta: non ha creduto per niente negli schermi piatti e ha tirato dritto per la sua strada. Sbagliando. Fino al paradosso di aver inaugurato una fabbrica modello a Bereguardo e non averla mai fatta funzionare. Non c’erano più gli ordini, aveva contro i sindacati e lui si era ritirato in una sorta di Aventino. Più tardi l’ha anche offerta a Samsung, coreani diventati leader nel tempo, questa fabbrica mai aperta, senza ricevere mai una risposta.

Un tramonto professionale molto triste. Qualcuno in Olanda (e non solo) avrà sorriso, io, invece, ho provato un pungente dispiacere nel vedere l’unica e vera eccellenza italiana nei televisori scomparire nel nulla.

Caro Vichi, adesso ti posso solo augurare il meglio, dovunque tu sia. E dirti anche quanto ci avevi visto giusto a modo tuo, quella volta, incontrando l’olandese: la ruota gira per tutti, anche la Philips venderà sommessamente la sua divisione audio-video nel 2014 ai cinesi, non ritenendola più strategica.

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