IL MIO ADDIO AFFRANTO ALLA CABINA TELEFONICA

Verrebbe da scrivere “Gone with the wind”, se non si temesse di fare pubblicità occulta a un altro gestore: un po’ come la Tara del celebre film, anche le care, vecchie, familiari, cabine telefoniche se ne vanno col vento. La TIM ha stabilito di smantellare le oltre sedicimila cabine disseminate per la Penisola e, con loro, ha deciso di cancellare un pezzetto dell’immaginario collettivo della mia generazione.

La cabina telefonica era ciò che si dice un arredo urbano multitasking: ti proteggeva in caso di fortunale, ti permetteva telefonate altrimenti proibite da casa, dove il genitore ti lucchettava l’apparecchio a mo’ di deterrente, ti permetteva romantici quanto casti contatti, quando, di lì, chiamavi gli altri compagni di classe, insieme alla compagna prediletta, dopo una cioccolata. Era un rifugio, una nicchia silenziosa e protettiva, che ti isolava dal mondo: lì eri solo tu e la vocina, al di là del cavo.

Cara cabina telefonica: con quanta nostalgia risento il rumore implacabile dei gettoni che scendevano, quando telefonavo in interurbana o, peggio ancora, chiamavo la morosa in Inghilterra!

Adesso te ne andrai a farti rottamare, insieme ai banchi con le rotelle dell’Azzolina: ma quanto più utile alla collettività, quanto più amata, mia buona cabina telefonica! I giovani d’oggi non sanno nulla di te: forse, nemmeno ti notano, perduta nel paesaggio, nascosta da mille altri particolari. Ma noi, che abbiamo l’età di Carosello, noi sì che ti ricordiamo, che ti salutiamo con affetto e una punta di malinconia. E di te amiamo particolarmente la versione primigenia, col telefono lungo e massiccio e la fessura dei gettoni: quella più moderna, con l’apparecchio arancione e le schedine di plastica già non ci apparteneva più. Avevi qualcosa di britannico: rappresentavi plasticamente un servizio al pubblico, ovunque e comunque.

Infatti, in Inghilterra le tue omologhe sopravvivono tranquillamente. E, talvolta, quando si inceppano e ti fanno telefonare gratis, è una folla di studenti che le assedia, per chiamare l’amico in Giappone o la fidanzata in Italia: lo dico con cognizione di causa, perché capitò davvero, a Torquay in una lontanissima primavera.

Dunque, addio, cabina telefonica della mia giovinezza: vai ad aggiungerti al cumulo, sempre più alto, delle cose che ho visto e ho perduto. Se vivesse ai nostri giorni, forse, l’Ariosto ti collocherebbe in una valle della luna, insieme alle altre cose che gli uomini perdono, sprecano, dimenticano. Una montagna di cabine rosse e grigie, accanto agli amori andati male o ai regali che si fanno ai potenti. Ci staresti bene: ti porti dietro tanti sogni, tante promesse, tante bugie, sussurrate nella cornetta, attutite dalle tue pareti.

Sei stata una parte della nostra vita che, come le altre, ci racconti della caducità delle cose. Lo so: in fondo sei solo una cabina telefonica, non è colpa tua. La colpa è di questa maledetta malinconia, che ti prende a una certa età: sarà che ci sentiamo un po’ anche noi come una cabina telefonica al tempo di Skype.

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