LA COMICA DEL MINISTRO CHE VUOLE L’INVALSI ANCHE PER I PROF

Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare. Il celebre tormentone introdotto da Gino Bartali, nelle sue comparsate televisive, si attaglia ancora benissimo a quella baraonda delirante che è il mondo della scuola.

Premessa: gli insegnanti e, soprattutto, i dirigenti vanno valutati. E’ uno dei principali controsensi della pubblica istruzione italiana il fatto che nessuno venga mai giudicato per quel che vale e che tutti, di fatto, siano sempre messi sullo stesso piano: il normalista e l’analfabeta, il pessimo e il migliore. Nessuno più di me è d’accordo con questo assunto.

Siccome, però, bazzico la scuola da quasi quarant’anni e conosco i miei polli, pongo le due domandine fondamentali: chi dovrebbe giudicare docenti e dirigenti e su quali presupposti?

Ed ecco il fatto: il ministro Bianchi (NELLA FOTO), che in numerose occasioni ha dimostrato di capire di scuola quanto un beduino s’intenda di piscine olimpioniche, ha proclamato, nel suo atto di indirizzo, che la scuola va valutata e che, a tale scopo, nominerà un bel numero di ispettori scolastici, dato che gli attuali 90 e rotti sono pochini. E nessuno li vede mai, aggiungo io: e, quando li vedi, sembrano paracadutati da Plutone, riaggiungo io. Benissimo: creiamo una legione di arcigni ispettori, che girino la Penisola indefessamente, quasi Missi Dominici, per indicare le eccellenze e censurare le mancanze.

E indovinate un po’ chi dovrebbe crearli: un bel corso di formazione tenuto dai sindacati. La Cisl ha già iniziato con un corso per 200 aspiranti ispettori: va detto che su altre questioni marginali, tipo i contratti, le pensioni, la retribuzione, i sindacalisti sembrano lobotomizzati, ma su queste iniziative sono meravigliosamente sul pezzo.

Del pari, indovinate un po’ quale dovrebbe essere il metro di giudizio, per valutare dirigenti e insegnanti: esatto, l’INVALSI. Il più inutile carrozzone generato dalla nostra Repubblica, dopo la Cassa del Mezzogiorno. L’INVALSI, che impone alle scuole del Paese dei test di valutazione sul livello di apprendimento degli studenti che non hanno niente a che vedere con quello che i programmi ministeriali impongono di insegnare, nel corso dell’anno. Sempre le solite balle, fritte e rifritte: comprensione e riorganizzazione del testo, semantica per babbuini e via discorrendo.

Stando così le cose, vi faccio una facile profezia: o questa cosa non si farà mai e rimarrà nell’armadio dei buoni propositi sulla scuola, che trabocca di intenzioni rimaste sulla carta, oppure si farà, e sarà una clamorosa patacca. Con buona pace del ministro Bianchi, che verosimilmente, non appena ci sarà concesso di votare, potrà tornare ad osservare l’avanzata dei cantieri stradali, con le mani intrecciate dietro la schiena.

Perché la scuola fatta di INVALSI e progetti, sindacati e atti d’indirizzo, è un malato agonizzante cui, anziché dare l’ossigeno, si dà il monossido di carbonio. Una scuola fatta di contenitori senza contenuti, di chiacchiere senza legami col reale, di progetti invasivi, che rubano il posto all’attività curricolare, di cyberbullismo e di DSA, dimenticandosi delle eccellenze, degli standard, perfino della normalità. Una scuola che non insegna più: che ha abdicato al suo ruolo, per fungere da psicoterapeuta, da assistente sociale, da ufficio collocamento.

Perciò, prima di tutto, si torni a una scuola che insegni e si eliminino tutti i baracconi: dai decreti delegati alla didattica per progetti. E, poi, si potrà pensare a valutare: ma sulla base dei risultati, non dei test farlocchi dell’INVALSI. Anzi, se io fossi il ministro della Pubblica istruzione, una delle prime iniziative che metterei in campo sarebbe proprio sciogliere l’INVALSI.

E i lavoratori? Beh, quelli li manderei, una buona volta, a lavorare.

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