IL LUNGO LUTTO PER LA CARRA’ E PER UN’EPOCA FINITA

di DON ALBERTO CARRARA – I funerali di Raffaella Carrà saranno grandiosi. Siti internet e telegiornali hanno anticipato tutto il programma. Lutto per una settimana, da lunedì a venerdì. Una cosa da regine.

Ovviamente nel carattere così eccezionale dell’evento entrano tutte le motivazioni “a monte”. La Carrà era una “icona”: il termine è stato ripetuto infinite volte nei giorni scorsi, icona dello spettacolo e icona semplicemente, personaggio “riassuntivo”, simbolico, nel quale tutti o quasi si riconoscevano. L’intera società si rispecchia in lei perchè da lei ha ricevuto divertimento e spensieratezza. Icona da viva, Raffaella Carrà deve essere icona anche da morta.

Sulle qualità artistiche della Carrà ho poco da dire – non me ne intendo infatti – e molto, nel mio piccolo, da ammirare.

Piuttosto mi fa un po’ pensare questa enorme forza simbolica del personaggio, che anche i riti funebri ribadiranno, e mi chiedo il perché. Perché era brava? Certamente. Ma non solo per quello. Carrà è stata molto amata dal popolo perché ha detto e soprattutto rappresentato quello che il popolo si aspettava. I suoi atteggiamenti liberatori erano le benedizioni laiche per una libertà che la gente agognava. In questo senso, si può dire che conta di più il suo ombelico al vento che le sue canzoni.

Si può dire anche – si deve dire – che la Carrà ha contribuito al processo di aggiornamento culturale del nostro Paese, facendo dimenticare le cose che non andavano più che denunciandole, e ha contribuito più a divertire che a far pensare. Immagino che qualcuno potrebbe dire: e meno male che c’è qualcuno che fa dimenticare e divertire. Sì, ma non basta e si deve ricordare che si può ballare mentre il Titanic sta andando allegramente verso la meta, non mentre sta andando a fondo.

In effetti, degli aspetti in ombra della nostra società la Carrà ha detto poco. Se si vogliono trovare le icone degli amori faticosi della pandemia e degli altri amori, talvolta ancora più faticosi, di prima e di quelli che ci saranno sicuramente dopo la pandemia, non devo rivolgermi alla Carrà. Semplicemente perché la Carrà non ha molto da dirmi al riguardo. Forse è anche per questo che la sua popolarità era vistosamente declinata negli ultimi anni. Non solo perché era invecchiata, ma perché le grandi lotte nelle quali l’artista si era impegnata erano vinte e la gente, quella che l’aveva osannata in passato, aveva bisogno di altre icone. Con la pandemia, in particolare, la gente si è sentita vicini infermieri e medici e aveva bisogno più di consolazione che di distrazione, di una stretta di mano da parte di una persona cara più che del Tuca Tuca.

Adesso tutti piangeranno ai suoi funerali. Piangeranno, però, non solo perché è morta la Carrà, ma perché con la Carrà è morto il mondo di allora, il mondo perso della propria spensieratezza giovanile. In fondo, le lacrime di questi giorni sono più lacrime su di noi che su di lei.

 

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