Ma anche per chi non crede esiste una prospettiva molto particolare del Coronavirus. Chiusi molti canali con la realtà esterna, è indubbiamente una buona occasione per fare di nuovo quattro chiacchiere con se stessi, dedicandoci finalmente al dentro di noi che da tanto tempo non perlustriamo più, come una soffitta che quasi non ricordiamo nemmeno di avere.
Avendo del tempo libero, è possibile rimettere mano a certe faccende che ci sono sempre piaciute, in fondo, anche se nel parossismo del quotidiano abbiamo finito per riporle da qualche parte. Guardare un Dvd, ascoltare un disco, leggere un libro. Ma anche: ritirare fuori dai cassetti le vecchie foto dei bambini, o dei genitori, o dei nonni. Lo stesso album fotografico del matrimonio, i filmini in bianco e nero di quand’eravamo piccoli a Varazze e a Ladispoli, sbarcati dalla Seicento.
Di più, spingendoci ancora oltre: possiamo persino sguazzare un po’ nei ricordi, nelle illusioni giovanili, nei rimpianti, nelle nostalgie. In un certo senso, possiamo cercare il modo di riprendere contatto con quella persona lontana che è il nostro io, un tizio che abbiamo trattato a pesci in faccia per troppo tempo, senza volerlo, senza cattiveria, ma con tanta indifferenza.
Se nessuno mi rincorre col manganello, potrei arrivare al limite estremo, dicendo che persino stavolta, in questo periodo strano, in questa vita sottosopra, esiste comunque un risvolto edificante. Se solo riusciamo a scorgerlo, tra le pieghe delle paure e delle nevrosi. Con calma, senza fretta.