IL GRANO DIVENTA ORO (COSTA IL DOPPIO)

La pasta italiana è da sempre il vero fiore all’occhiello dell’industria agroalimentare italiana, rappresenta più di ogni altra cosa o persona il nostro Paese nel mondo.

La materia prima con cui viene prodotta è il grano duro, coltura che ha rappresentato, per i cerealicoltori nostrani, più una croce che una delizia, in termini di risultati economici.

Ma, come in una bella favola, i tanto bistrattati produttori, o forse più di loro i commercianti di grano duro, dopo anni di patimenti stanno raccogliendo frutti insperati del loro lavoro.

Dopo anni in cui il prezzo del grano duro ristagnava in un range tra 200 e 250 € per tonnellata, in queste ultime settimane il trend è cambiato.

Questa settimana sulla piazza di Foggia il prezzo del grano duro ha toccato un massimo di 490 euro alla tonnellata, mentre a Napoli il frumento fino nazionale ha sfondato la soglia, anche psicologica, di 500 euro/tonnellata e per molti analisti non è finita qui. Alcuni arrivano a pronosticare un ulteriore rialzo dei prezzi che porterà il prezzo a 600 €/tonnellata, prima della fine dell’anno.

Non è una situazione sconosciuta: ciclicamente, in media ogni sette anni il prezzo del grano subisce un significativo rialzo. Quello recente è imputabile a diversi fattori.

Primo tra tutti quello dovuto agli effetti dei cambiamenti climatici, che hanno particolarmente colpito grandi Paesi produttori di grano duro come la Francia, investita da gravissime inondazioni, o come il Canada, colpito da una significativa siccità, che ha provocato una riduzione della produzione e conseguentemente un calo della propria quota di esportazione pari a circa 3 milioni di tonnellate.

Certo è che la parziale assenza del grano canadese, da sempre prodotto con l’ausilio di massicce dosi di glifosato, sui nostri mercati, può essere considerata come una delle poche note positive di questa vicenda.

La ritrosia all’acquisto di pasta prodotta con grano estero, accusata di non possedere standard apprezzabili di sicurezza alimentare, imputabile a una maggiore consapevolezza e informazione del consumatore, è da indicare come una delle cause per l’incremento del nostro frumento duro.

La produzione nostrana di grano duro riesce a coprire per il 70% il fabbisogno dell’industria pastaria nazionale, il restante 30 % giunge da ogni angolo del pianeta

Ma questo rialzo dei prezzi della materia prima come si ripercuoterà nei bilanci delle famiglie italiane?

Ovviamente a un rialzo del prezzo della granella è già seguito l’aumento del prezzo della semola e a ruota quello della pasta sullo scaffale. Ma il costo della granella di frumento duro non è l’unico fattore da cui scaturisce o scaturirà l’incremento del prezzo della pasta: agricoltori, mugnai e pastai devono fare i conti anche con un generalizzato rialzo del costo delle materie prime quali sacconi, energia, carburante, imballaggi, etc., che inevitabilmente graverà sul prezzo allo scaffale.

Malgrado le rassicurazioni (di facciata?) dei maggiori produttori di pasta, siamo certi che il prezzo della pasta subirà un inevitabile aumento, ma siamo altrettanto certi che almeno per quest’anno la produzione sarà garantita.

Cosa ci insegna questa vicenda?

Che probabilmente i maggiori beneficiari di questo rialzo sono i commercianti di granaglie che hanno acquistato il grano a un prezzo notevolmente più basso di quello attuale e che potendo stoccare il prodotto possono venderlo alle migliori condizioni.

Che altrettanto verosimilmente i grandi produttori di pasta non subiranno gli effetti di questi incrementi di prezzi in virtù della loro enorme capacità di stoccaggio e della quasi certa attività di copertura con futures acquistati per coprirsi dal rialzo dei prezzi.

Ma certamente questa vicenda indica la necessità, ormai inderogabile, dell’adozione di linee di politica agricola che ci sgancino dalla dipendenza da materie prime da altri Paesi.

La filiera italiana del grano è intrisa di criticità che la rendono succube dalle importazioni.

Eppure potremmo approfittare delle favorevoli condizioni pedoclimatiche delle nostre zone agricole, che ci rendono meno dipendenti dall’utilizzo di prodotti di sintesi e dalla nostra capacità di trovare soluzioni anche per superare questi ostacoli. Già da qualche anno in Italia si coltivano, anche se su superfici ancora troppo limitate, miscugli di grani, antitetici alle monovarietà, che garantiscono un maggiore adattamento del frumento alle diverse condizioni agronomiche e una maggiore stabilità delle rese. Gli agricoltori dell’Associazione “Simenza” in Sicilia sperimentano da anni con successo questo sistema di coltivazione.

Non è solo auspicabile, ma ormai obbligatoria, l’adozione di una politica agricola che consideri finalmente strategiche le produzioni agroalimentari, per dare vita a una necessaria sovranità alimentare, che possa fornire soprattutto ai giovani prospettive lavorative ed economiche che poggino su basi nuove e solide.

Tanto più che ai “maccaroni”, come ci ha mostrato Alberto Sordi, gli italiani non hanno mai saputo rinunciare.

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