IL GRANDE LIBRO DI SERAFINI PER IL CUORE DI UN UOMO GRANDE

Oggi noi lo diciamo con disinvoltura, ignari dei percorsi a ostacoli che la storia riserva. Bypassare è un verbo che usiamo in continuazione, mutuandolo dalla terminologia medica, ma la deviazione a cui allude il termine anglosassone, e che porta all’utilizzo colloquiale di quella parola, è lunga, tortuosa, un’avventura che attraversa decenni, confini, regimi e cuori, soprattutto cuori.

Argentino di La Plata, ma di origini siciliane, René Gerónimo Favaloro non è un nome che circola con frequenza, non è un nome che la gente conosce, anche se dovrebbe esserlo. Luca Serafini, il nostro Luca Serafini, ha deciso che il condizionale non ha ragione di essere per una persona che ha cambiato la teoria e la pratica della chirurgia aorto-coronarica, della medicina tutta, in realtà, perché se oggi noi tutti infiliamo il bypass in contesti che nulla hanno a vedere con la cura medica, è perché lui lo ha inventato e praticato su tantissimi pazienti, salvando loro letteralmente la vita, e ancora oggi il suo contributo è imprescindibile.

René Favaloro

Luca Serafini racconta anche di questo nel suo “Il cuore di un uomo” (Rizzoli editore) e la parola chiave è proprio quella apparentemente più insignificante: anche. L’impresa medica scorre in superficie e nessuno può negarne la rilevanza, ma sotto la superficie, l’iceberg nasconde una vita piena, bella, vissuta. E tragica.

In primo piano scorrono i riconoscimenti, i premi, gli encomi, a far lo slalom tra ostacoli impensabili, ma sullo sfondo l’occhio è rapito dallo scenario che Luca Serafini dipinge in modo diretto e lirico allo stesso tempo. Col trascorrere delle pagine resta inspiegabile il magnetismo che tiene aggrappati alla vicenda.

Credo che molto abbia a che fare con un certo malinconico lirismo, sì, ma in particolare col fatto che il nastro della vita di Favaloro si srotola in modo sobrio, orgogliosamente asciutto nelle parole di Serafini, eppure allo stesso tempo in modo costantemente appassionato quando non commovente, pur lontano dalla canna da zucchero, che in Sudamerica abbonda, in tutti i sensi, ma che guarda caso proprio in Argentina lascia spazio a toni più tragici, composti, e comunque non meno poetici.

Fin dalle prime pagine, non c’è spazio per equivoci: “Quello che sarebbe stato il senso di tutta la sua vita, una falena imprigionata in un bicchiere, fu facilmente intuibile sin dall’infanzia. Già alle scuole elementari, René seguiva le lezioni con meticolosa attenzione così, a casa, avrebbe fatto in fretta i compiti per poi correre il più presto possibile nel laboratorio del padre, falegname, dove trascorreva interi pomeriggi osservandolo mentre lavorava (……). <<Un bravo chirurgo deve essere anche un bravo falegname>>, gli diceva zio Arturo, compiacendosi con il nipote per la sua grande curiosità verso il mestiere del fratello. Una frase che gli ripeteva anche il nonno in Siciliano (<<Nu bravu dutturi ava essiri n’bravu falignami>>).

È solo l’inizio, la bussola di Serafini segue la bussola di René Favaloro dolcemente, con intuizioni che rapiscono e raccontano un’epoca, una terra, tante vite, tante morti. L’Italia, l’Argentina e poi ancora l’Italia, in mezzo pure l’America e poi di nuovo l’Argentina inevitabilmente, la storia di un secolo intero, o quasi, attraversato da questo testardo pioniere con “la visione di una mente aperta al prossimo, senza distinzione di razza, sesso, orientamenti politici o religiosi”.

Favaloro, ci racconta Serafini, ha sempre preso il treno che voleva prendere, ma mai una volta che il percorso sia stato agevole e spedito. Tu vuoi insegnare l’applicazione, la medicina, la scienza e invece per qualcuno sei il sortilegio, la magia, il santone. Anche questo è accaduto, per dire. E poi ancora il razzismo, il tango, viaggi perigliosi e traballanti, persino Cosa Nostra e un firmamento tenebroso e stellato allo stesso tempo, fatto di accadimenti imprevisti e imprevedibili, e spesso tragici, narrati in modo appassionato e appassionante, lucido e caldo insieme, anche grazie alle umane e ispirate metafore.

Questa è grande narrazione, mai ridondante, sempre intensa e coinvolta, sfido chiunque ad avviare la lettura di questo libro, oppure ad aprirlo di tanto in tanto in un punto qualsiasi, e non rimanerne avviluppato, fermo restando che il godimento vero sta nell’assaporare l’avventura per intero, dall’inizio alla fine.

Possiamo solo immaginare, come un virtuale dietro le quinte, quale sia stata l’avventura di Serafini per giungere alla stesura di questa vita memorabile, che non poteva essere riposta in un cigolante cassetto. Un po’ Indiana Jones, un po’ Sherlock, così immagino, con un po’ d’invidia, la ricostruzione amorevole e piena di cura che queste pagine ci restituiscono. Vien da credere che Serafini abbia assistito alle vicende che ci racconta, e chissà che in un modo o nell’altro non sia proprio così..

In mezzo troveremo anche i desaparecidos, certo, i tumultuosi regimi argentini della seconda metà del novecento, tanto sangue, tantissimo sudore, infinite lacrime e sconforto. Un secolo che Favaloro chiuse in modo tragico, proprio nel 2000, sparandosi un colpo di pistola. Dove, non è difficile immaginarlo.

Serafini è di parte, non c’è dubbio, ogni pagina testimonia quanto si sia innamorato dell’uomo, della vicenda, dell’idea di raccontarla e alla fine resta appetito, devo ammetterlo, non può finire così. Serafini ha appiccicato il nome di Favaloro nella nostra testa e lì rimarrà, Alzheimer permettendo, ma non può finire così.

Ci aspettiamo da lui altre vite illustri ma sconosciute o dimenticate, disseppellite con la stessa maestria e restituite a tutti noi.

Con il rispetto e lo stupore che arricchiscono ogni pagina di “Il cuore di un uomo”.

 

 

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