Ne ha appena compiuti 71, Claudio Cecchetto, ma non sembra davvero stanco di scrivere la storia della radio italiana, non sembra per niente appagato dai talenti scoperti e lanciati nel mondo della musica, dello spettacolo. Ogni giorno è un nuovo giorno, è un nuovo inizio, per lui.
Un canale avrà il suo nome: “Radio Cecchetto”, webradio con un palinsesto – al solito – rivoluzionario. Al solito perché non c’è niente, nella sua carriera, che non abbia stravolto i canoni tradizionali. Abituali.
Fondatore di Radio Deejay e Radio Capital, conduttore del Festivalbar, del Festival di Sanremo, di Un disco per l’estate, il suo curriculum è interminabile: disc-jockey, cantante, produttore, talent-scout, presentatore… Persino attore, nei “Cesaroni 3”, quando interpretò sé stesso. E adesso di nuovo imprenditore.
“E’ il momento. Non ci avevo mai pensato, almeno fino all’anno scorso, sebbene mi fossi accorto che la pandemia aveva contribuito al suo sviluppo. Ho capito che i giovani si avvicinano al divertimento radiofonico attraverso questa opportunità: i network e gli FM non interessano, il web sì, un po’ come è accaduto con YouTube. E’ il futuro. Quando negli anni Novanta si diceva che un giorno ognuno avrebbe avuto un suo indirizzo di posta elettronica, tutti ridevano. Ebbene, io penso che tra una decina d’anni chiunque avrà la propria radio personale”.
La radio tradizionale è destinata a scomparire?
“Il mezzo non è morto: sono morti i programmi. Sai, quando andavamo in onda noi la nostra missione era artistica, oggi invece i contenuti sono un optional. Non sembrano più essere necessari”.
In compenso è cresciuta a dismisura la volgarità. C’è un jingle pubblicitario, su un network nazionale, che si vanta di essere stato il primo a sdoganare le parolacce.
“Non mi spaventa né mi disturba: la volgarità è diventata un’abitudine… Una volta se mandavi affan**** uno, poi ti menavi. Oggi non più così: è diventato un fatto consueto. Dire le parolacce è nel linguaggio comune. Non è gradevole sentirle, ma per la nostra generazione era l’inizio di una litigata, adesso non è più per disprezzo: è un intercalare. Se devo essere sincero, spero che le nuove generazioni si picchino di meno e dicano più parolacce”.
È ai giovani che ti rivolgi?
Cecchetto sorride. “Qual è il target? mi chiedi. Ho una vita vissuta nella musica e la musica che mi piace è una musica che piace a molti. La distinzione va fatta tra musica bella e musica brutta, ma non ci sono giudici, se non gli ascoltatori. A me la musica piace tutta, anche se – come ho detto spesso – sono nato dj e morirò dj. Quando si è in una stanza in silenzio, uno dice: metti un po’ di musica… Fa festa. Non amo i lenti, i miei artisti facevano fatica a propormeli. Scoprii ‘Come mai’ degli 883, mi piacque da matti. Loro erano sorpresi: ci avevi detto i lenti no, mi dissero. Risposi: i lenti no, i capolavori sì. Tutte le rock band hanno venduto milioni con il lento”.
Non hai dunque un genere preferito?
“No, direi proprio di no. Mi piace la musica up, quella appunto che trasmette gioia, mentre non amo il revival nostalgico. Allegria, non nostalgia… Negli anni Settanta sono arrivati i cantautori che ci hanno un pochino ammorbato: la gente voleva ballare, non chiedeva musica troppo riflessiva, anche se è assolutamente giusto che sia esistita e che esista. Ad un certo punto stava appiattendosi anche la discomusic americana, ma per fortuna – negli anni Ottanta – iniziò un decennio di grande produzione alternativa in Inghilterra: le proposte erano ska, punk, elettronica, new-wave. Una grandiosa alternativa. Certo, era musica molto orecchiabile e poco memorabile, ma va bene, l’arte non è solo Michelangelo o Canova. Cosa vuoi, la bella musica era già stata fatta… Prima aspettavi la novità, andavi in un negozio di dischi e chiedevi: cosa è uscito? Di colpo, abbiamo capito che ormai c’era già tutto, sul mercato. È rimasto l’aggiornamento, naturalmente. E’ una questione di quantità: adesso si fa più fatica a trovare qualità, ma la si trova, la si trova… Agli albori del Festival di Sanremo, un cantante si esibiva con 4 pezzi, poi hanno cominciato a contare di più i personaggi, i video… All’inizio la musica era roba da sagra o da festa, poi si è trasformata in un’industria”.
Già, un’industria. Una filiera, come si dice, dove la pirateria imperversa.
“La musica va tutelata, la musica va pagata. Per premiare il lavoro, l’arte, e per creare opportunità”.
Ho visto “Playlist”, la serie che racconta la nascita di Spotify. Uno spaccato molto esaustivo sul tema…
“Ecco, appunto. Spotify paga le case discografiche, la Siae, e si mantiene con la pubblicità. È giusto che chi ne fruisce, paghi un abbonamento. Come disse Steve Jobs a proposito di iTunes: piccole cifre per grandi quantità. E’ assurdo non pagare la musica: la vogliamo sempre più bella, come una casa, un vestito, una borsa… Non possiamo pensare di averle gratis. La radio propria, come ti dicevo prima, sarà un’evoluzione di Spotify, più bella perché subentra la casualità, non si conoscerà un palinsesto predefinito. Accendi e ascolti… Bisogna diffondere l’utilizzo del web”.
Te ne sei improvvisamente innamorato, insomma.
“E’ un nuovo modo di ascoltare la radio. Puoi accenderla sul cellulare e il tuo corpo diventa un trasmettitore, se te lo metti in tasca e hai le mani libere, sembra che sia tu a emettere musica. Non è suggestivo?”
Prima di incontrarci ho letto molto su di te: hai girato tutte le più grandi radio e hai fondato quella più ascoltata, hai girato tutti i canali televisivi, ma soprattutto hai scoperto e lanciato calibri tipo Jovanotti, Fiorello, Amadeus, gli 883, Daniele Bossari, DJ Francesco, Tracy Spencer, Sandy Marton, Gerry Scotti, Sabrina Salerno, Paola&Chiara, per non parlare di Linus e Nicola Savino. C’è qualcosa, o qualcuno, che ha segnato, indirizzato la tua carriera?
“Qualcuna delle mie creature, diciamo così, no davvero: sarebbe come chiedere a un padre qual è il figlio preferito. Ognuno di loro è diverso da un altro, non ci sono cloni. Ho avuto la fortuna di lanciarli e loro hanno contribuito alla mia. Gli anni più importanti sono stati con Renzo Arbore e Gianni Boncompagni: a quei tempi alla Rai si facevano moltissime chiacchiere e si ascoltava pochissima musica, per lo più brani e artisti classici. Loro due aprirono i confini con ‘Alto Gradimento’ e ‘Supersonic’, uno stile di conduzione che si allineava perfettamente alla musica, come ‘Per voi giovani’. Sì, Arbore e Boncompagni sono stati punti di riferimento che mi hanno illuminato e guidato, anche se fu Mike Bongiorno a portarmi in televisione”.
Come andò?
(Ride di gusto).”Venne a cercarmi in radio un pomeriggio, ero emozionatissimo. Lui parlava, io ero in un altro mondo, quasi non lo ascoltavo e pensavo: chissà i miei genitori, i miei amici, se mi vedessero con Mike Bongiorno…! Fu lui a catturare di nuovo la mia attenzione quando a un certo punto mi disse: sai, io ti ascolto ogni mattina, sei proprio bravo. Perché non vieni a lavorare a Telemilano (che sarebbe diventata poi Canale 5, ndr). Mi portò davanti alle telecamere e iniziò così un’altra fase della mia vita professionale. Solo dopo molti anni dissi a Mike Bongiorno che, all’epoca in cui ci conoscemmo in radio, io alla mattina non trasmettevo affatto…”.
Scopriamo “Radio Cecchetto”, adesso, prendendo in prestito come titolo un paio di Claim che Noiseartech (nota agenzia di comunicazione) del tuo amico Canio Caprarella ha pensato per te: “Radio Cecchetto libera la radio”, “Radio Cecchetto, la radio che cambia la radio”, dopo quanto mi hai detto. Come sarà il palinsesto?
“Somiglierà alla prima ‘Radio Deejay’, con pochissime chiacchiere. Come dice un mio amico, voglio iniziare però con un paio di ‘cecchettate’. Ci sarà musica, tanta musica, moltissima musica. La mattina si chiamerà ‘Radio mail’: ogni quarto d’ora interverrà qualcuno che racconterà la sua esperienza da dj. L’idea mi è venuta andando in giro e incontrando una moltitudine di persone che mi dicevano: ho fatto il dj da giovane. Mi ha impressionato come abbiano fatto questa esperienza dei professionisti più svariati: meccanici, operai, amministratori delegati, ceo, impiegati, dirigenti… Incredibile. In quest’ultimo mezzo secolo l’uno per cento ha continuato a fare il disc-jockey, ma se lo fai anche solo una volta nella tua vita, ti resta dentro per sempre. Ti viene una crisi di astinenza da microfono, prima o poi. Allora mi è venuto in mente di fare come con i campi di padel, o di calcetto, o di tennis: affitto gli spazi a chi vuole fare radio”.
Spiegati meglio.
“Vuoi trasmettere su ‘Radio Cecchetto’? Ti prenoti, scegli il giorno e la fascia, paghi e vai in onda. I tuoi soldi andranno in beneficenza: la mia sarà una webradio solidale, si manterrà con la pubblicità, per il resto aiuterà enti, organizzazioni, associazioni umanitarie… E un’altra cosa: se tu indicherai una data e una fascia che sono già state prenotate, potrai rilanciare e inizierà una vera e propria asta con chi aveva già occupato quello spazio. Così potremo raccogliere più denaro”.
Geniale, non c’è che dire. Il resto della giornata cosa sentiremo?
“Al pomeriggio ‘Prova microfonò ’: alcuni dei miei amici celebri, che so, Fiorello, Max Biaggi, Elena Sofia Ricci, Jovanotti, proveranno il microfono come si fa prima degli spettacoli (uno, due, tre, sa, sa, prova, prova) senza dire chi sono e la gente dovrà indovinare. Poi musica la sera e di notte perché, come dice un mio amico discografico, la radio non va mai a dormire. La radio resta sveglia, la radio c’è sempre”.
Come vivrete i due derby di Champions, nella vostra Milano? Sarai supportato in questa nuova avventura dall’agenzia di Canio Caprarella, un grande specialista e tecnico che ha fatto a sua volta la storia della radio dietro le quinte, interista come te, da un po’ di anni a capo di una team di professionisti della comunicazione.
“Beh, è bello sapere che nessuno tra Inter e Milan giocherà fuori casa (ride), sarà un impegno enorme per entrambe: tutti i giocatori daranno al massimo, è un traguardo storico, di cui andare orgogliosi. Sarà un momento importante per la città e per il calcio italiano. Magari andrò allo stadio, chissà. Sai, io abito vicino a San Siro e sento i boati prima ancora di vedere i gol, se guardo le partite in tv… Stavolta potrei preferire la diretta! Chi andrà in finale? No, caro mio, non ci casco. Scaramanticamente non si dice niente…”.
Buon compleanno, Claudio. E benvenuta, Radio Cecchetto.