IL “FOGLIO” DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE RESTA ARTIFICIALE

Claudio Cerasa, direttore del “Foglio”, prende di petto una delle più recenti paure dei giornalisti: essere sostituiti dall’Intelligenza Artificiale.

Per un mese, all’interno del numero tradizionale del quotidiano prodotto da redattori in carne ed ossa, si troverà un “Foglio” aggiuntivo, interamente confezionato dall’IA.

I giornalisti veri hanno posto al computer una serie di domande sui principali fatti di politica interna ed estera, ed è stato pubblicato ciò che in un batter d’occhio, e senza nemmeno una interruzione da pausa caffè, l’IA ha sfornato.

C’è anche l’editoriale che, in estrema sintesi, spiega come solo l’Intelligenza Artificiale possa essere ottimista senza sbavature e senza contraddizioni.

Non c’è che dire, è scritto bene. Forse, da giornalista che ogni tanto ha bisogno di mangiare, dovrei disperarmi pensando che per me, come per moltissimi altri colleghi, è finita.

Eppure, ancora non riesco a rassegnarmi.

“Ottimista senza sbavature e senza contraddizioni”, così ha detto l’IA nel suo editoriale.

Ma la vita è piena di contraddizioni, di tristezze, di euforia, di paure, di megalomanie, di concretezze, di genialità, di imprevisti.

Ecco, di imprevisti. E il bello sta proprio qui: non poter mai essere sicuri di ciò che succederà domani. Questa è l’essenza stessa della professione giornalistica. Il vero motivo per cui il mestiere più bello del mondo è tale e non annoia. Chi fa il giornalista non ha mai una giornata uguale ad un’altra, ecco perché chi vive la redazione non “fa” il giornalista, “è” un giornalista e non smette di esserlo fino alla morte.

Forse la mia è una visione un po’ romanzata di una professione che, a onor del vero, ha anche i sui bei lati oscuri. E qualcuno, dopo una vita in redazione, è anche contento di andare in pensione.

Ma non credo siano tanti; o, almeno, certo non lo è chi ha fatto con passione vera questo mestiere.

Un mio ex direttore, una volta, mi disse che delle opinioni non importa niente a nessuno: i lettori vogliono solo le notizie.

Io non riesco a pensarla così. Soprattutto in questa epoca di informazioni a grandine, ovunque e senza filtro. Un buon giornale deve vivere di notizie, certo, ma anche di punti di vista, possibilmente plurali, per essere in equilibrio. Anche per aiutare a capire, oltre che a conoscere.

Ma se il punto di vista è perfetto e algido come quello prodotto da un IA, risulterà sterile e finirà per non assomigliare a nessun lettore. E, per contro, nessun lettore, fatto ancora di carne e di sangue, con tutto il suo carico di fragilità, paure e fobie, riuscirà a riconoscersi in quell’opinione.
Eccolo il limite: l’Intelligenza Artificiale riuscirebbe, meglio di qualsiasi collega vivo, a catalogare la molteplicità delle sensazioni che caratterizzano il lettore umano, ma mai e poi mai a provarle.

Una distanza fra uomo e macchina ancora incolmabile. Per fortuna.Pubblicità

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