IL DECLINO DEL MITO GERMANIA: LA CRISI VOLKSWAGEN E’ LA CRISI DEL MODELLO PANZER

La notizia della probabile chiusura di uno stabilimento Volkswagen per la prima volta nella sua illustre storia iniziata nel 1937 incrina pericolosamente il concetto di solidità e capacità di gestione delle aziende tedesche. Stiamo parlando di un colosso da 680.000 dipendenti, di cui 300.000 in Germania, di un marchio iconico che accompagna generazioni, di un gruppo che ha aggregato strada facendo moltI marchi famosi e che è il simbolo della forza teutonica nel mondo. Un taglio di 10 miliardi entro il 2026 ma, soprattutto, la rottura di un patto di stabilità con i sindacati che non prevedeva licenziamenti entro il 2029.

Eppure, è arrivato anche per loro il momento di subire una (inevitabile) crisi che ha radici lontane. Già non molto tempo fa sono stati messi alla porta un paio di AD potenti, rei di aver sbagliato le strategie dei prossimi anni: si subivano gli attacchi di Tesla sulle auto elettriche, che si è spinta ad aprire stabilimenti in Germania non lontani dai loro in aperta sfida, si notava una forte indecisione nel rinnovare le gamme con prodotti moderni a prezzi accessibili, che li ha messi in difficoltà nei paesi asiatici. L’etimologia del nome “auto del popolo” si è gradualmente persa nel corso degli anni e non si vedono forti segnali di innovazione e cambiamento.

La Germania nel suo complesso soffre di un pericoloso momento di esitazione, anche politicamente, la storica locomotiva europea è su un binario secondario. Gli analisti finanziari ed economici spiegano con contenuti altamente professionali, io provo a interpretare i comportamenti dei tedeschi conoscendoli da vicino, vista la mia lunga frequentazione professionale diretta con loro.

Una delle debolezze del loro sistema è l’atavica lentezza di reazione ai nuovi scenari, siano essi imprevedibili oppure no. Il motivo che la origina viene da una scrupolosa, ossessiva, micrometrica e spesso cavillosa voglia di analisi delle varie situazioni in atto, che necessariamente prende tempo e non si cura di quanto sta succedendo là fuori, nella vita vera. Ci si concentra nel passato e nel presente, meno sul futuro. Montagne di reporting da analizzare, risorse materiali e umane impiegate a verificare fenomeni a volte non rilevanti.

C’è poi il tema della iperprogrammazione a medio-lungo termine che inevitabilmente ingessa i processi ed è il nemico numero uno della flessibilità, dote quanto mai necessaria in un mondo che cambia di giorno in giorno. Più pensi di poter esercitare il controllo con piani articolati e meno coraggio hai nel buttarli via quando ti rendi conto che hai imboccato la strada sbagliata. Sì, perché – oggi più di ieri – il management deve essere in grado di riconoscere i propri errori e dimostrare di saper cambiare in modo rapido e intelligente. Invece, la loro attitudine naturale è mettere in atto comunque ciò che si era stabilito, con una coerenza e una tenacia davvero encomiabili, ma che non sono le abilità richieste in momenti di discontinuità come questi. Un esempio recentissimo per farmi capire. E’ stata sviluppata un’app per facilitare il processo di inserimento dei nuovi assunti, che è stata presentata con entusiasmo allo staff organizzativo interessato. Peccato che da tempo tutte le assunzioni siano congelate per ridurre i costi: perché farla ora quando non puoi utilizzarla e, invece, non posticiparla a tempi migliori? Semplicemente perché qualcuno l’ha calendarizzata e bisogna rispettare la scadenza. E fa niente se ha demotivato un bel po’ di gente, quando bastava solo del buon senso, ma questo non era scritto nella “action list”.

Come terzo elemento, aggiungerei l’ostinazione presuntuosa di avere pensato e risolto ogni cosa a prescindere, la ricerca del progetto esemplare sempre, il rifiuto concettuale della migliore approssimazione possibile: sono tutti comportamenti che moltiplicano le verifiche, che allungano i tempi, che danno la falsa idea della soluzione perfetta. Oggi serve, al contrario, una rapidità decisionale elevata, che deve contare su una buona base di dati, ma che necessariamente può essere presa anche quando hai il 60-70% della conoscenza. Aumentano i rischi così, certo, ma te li devi prendere e basta.

La forza d’urto e la mega-organizzazione strutturata, loro caratteristiche vincenti per decenni, oggi sono diventate antitetiche all’intelligenza adattiva e all’agilità, qualità necessarie per il successo degli anni a venire. La Golf dovrà trovare una sua degna erede del terzo millennio, non basta più l’ennesima nuova versione.Pubblicità

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *