IL CORAGGIO DI UN RAGAZZO DI NOME MARCO NATALI

di MARIO SCHIANI – Poteva benissimo tirar dritto. Come ha fatto, con ogni diritto, la maggior parte dei suoi concittadini. E invece si è fermato: perché quelle 200 persone che, in piazza a Lodi, una delle province più colpite dalla prima ondata del Covid, gridavano slogan appena scongelati contro il Green pass, i vaccini e la “dittatura sanitaria”, hanno imposto un fremito alla sua coscienza. Soprattutto quando una sapientona, dopo aver adescato la folla con una premessa alquanto sospetta (“io parlo quattro lingue”), ha sostenuto che “il Covid non esiste: le persone le ammazzano in ospedale”.

A quel punto, Marco Natali, 22 anni, ha “perso le staffe”. Già, perché chi, se non il Covid, si era portato via a 57 anni, nel marzo del 2020, il papà di Marco, il dottor Marcello, un medico di base sopraffatto dal virus dopo essersi prodigato per difendere i suoi pazienti dal contagio?

E invece, ecco che 200 individui, dietro lo scudo impropriamente esibito della libertà di espressione, si permettevano di negare al dottor Marcello il suo sacrificio e a Marco l’autentico dolore della sua perdita. “Sono dell’idea che uno può fare e dire quel che gli pare – ha spiegato Marco – ma se dici una cosa del genere in mezzo a una piazza stai superando il limite. Si può essere pro o contro il Green pass, ma una cosa del genere non si può dire”.

E così, il figlio del dottor Marcello ha ricordato ai formidabili “indignati” di servizio in piazza un paio di fatti da mettere a confronto con le loro opinioni. “Se l’anno scorso avessimo avuto i vaccini mio padre sarebbe ancora qua. E perché oggi i vaccini li abbiamo, alcuni di voi non si sono ammalati e, tra questi, qualcuno non è morto.”

L’esempio di Marco, che lui dice scaturito dal motto “meglio pianti che rimpianti”, è di estrema importanza. Non perché sia riuscito a far ragionare quattro zucconi, eventualità molto improbabile, quanto perché il suo sussulto deve essere quello di tutti noi, decisi a evitare la trappola di un certo infantilismo dell’opinione che circola nella società.

Non che il dibattito pro o contro Green pass sia inammissibile (il filosofo-opinionista Massimo Cacciari lo ha sollevato in termini di stagnazione della cultura dell’emergenza che paralizza la dialettica parlamentare, un’obiezione valida non fosse che, ora, l’emergenza è concreta e nell’affrontarla tocca entrare in conflitto con principi che, per quanto essenziali, restano pur sempre teorici): il problema è che si scredita da sé quando viene proposto quale frutto di una riduzione a banalità di concetti profondi e delicati. Ribaltando il celebre titolo di Hanna Arendt, si potrebbe parlare di “male della banalità”.

Si grida alla “dittatura” e all’attentato alla “libertà” oltraggiando il vero significato di entrambe le parole, riducendole a macchietta, osando riportare le limitazioni imposte dal governo sugli ingressi in trattoria ai crimini contro l’umanità commessi da regimi spietati sostenuti da ideologie totalitarie. Come fanno i bambini ai quali viene negato il bagno per due ore dopo il pranzo, si ingigantisce la valenza del proprio sacrificio fino a farlo coincidere con quello più grande che sia immaginabile. Il fatto che questo avvenga spesso e con tanta disinvoltura, dà la misura della perdita di sostanza culturale in atto del Paese.

Paragonare il Green pass alla persecuzione degli ebrei significa dichiarare la propria incapacità di impostare corrette proporzioni storiche: tutto, allora, in questa geometria senza regole, in questa fisica irreale in cui una tonnellata vale un grammo e un chilometro un millimetro, perde di significato. E la “libertà” per la quale si va in piazza è solo un concetto più che astratto, una scusa per dar voce al nulla curando così – forse – solo qualche intima frustrazione.

Marco Natali ci ha però ricordato che non si scappa dal peso del reale e che ogni opinione, per quanto controversa e alternativa, non può arrivare al punto di costruire un contesto artificiale pur di giustificare se stessa. Nessuno oggi ce lo viene più a ricordare, perché tutti razzoliamo in questo chiassoso pollaio che più rumore fa e più ci illude di essere “libero”. Marco Natali, tornando sui suoi passi per dar soddisfazione alla ragione e al cuore, si rivela un esempio raro. Va ringraziato e con lui va ringraziato il padre medico. Entrambi in gamba nel dispensare buone cure.

 

 

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